Storia d'assalto

Raimondo Montecuccoli, il genio dimenticato di un generale

Raimondo Montecuccoli fu un soldato tutto d'un pezzo del XVII secolo: militare, comandante e teorico dell'Arte della guerra, il suo è un genio che l'Italia continua a sottovalutare

Raimondo Montecuccoli, il genio dimenticato di un generale

Raimondo Montecuccoli è stato uno degli ultimi grandi geni militari totali della storia. Sicuramente, l'ultimo italiano. Nato a Montecuccolo dal Conte Raimondo, che governava la terra attualmente compresa nel comune di Pavullo nel Frignano (Modena), il generale, diplomatico e letterato italiano è stato al tempo stesso interprete e narratore dell'arte della guerra.

La parentela con il generale Ernesto Montecuccoli gli garantì l'ingresso nell'esercito dell'Impero germanico nel 1625, a soli sedici anni. Da allora Montecuccoli si distinse sempre per la sua dedizione totale al mondo degli eserciti che nel XVII secolo conosceva una grande evoluzione.

Per 50 anni Montecuccoli partecipò alle maggiori campagne militari d'Europa. La sua formazione fu tutta nella Guerra dei Trent'Anni, conflitto che lo vide nascere soldato e crescere generale. In nome del Sacro Romano Impero fu capitano di fanteria nel conflitto che vedeva gli imperiali opposti alle truppe protestanti e della Svezia, sopravvisse alla dura sconfitta della Battaglia di Braitenfeld, nel 1631, e fu sul campo anche a Lutzen l'anno successivo. In seguito divenne comandante: dapprima, tenente colonnello di cavalleria, combatté sotto l'arciduca Leopoldo Guglielmo in Slesia dove sconfisse un corpo svedese guidato da Erik Slang a Troppau nel 1642. In seguito, l'anno successivo, condusse assieme allo Stato Pontificio la Guerra di Castro nel 1643-1644 contro gli Stati dell'Italia centrale e tra il 1645 e il 1647 sconfisse il conte transilvano Giorgio I Rakosi in Ungheria e gli Svedesi a Brno mettendo al sicuro il fronte boemo e danubiano della Guerra dei Trent'Anni che si avviava a una sconfitta per l'Impero.

Montecuccoli, vittorioso nelle campagne da lui guidate in una guerra perdente, iniziò la carriera da "ineguagliabile maestro della guerra del XVII secolo", come lo ha definito la Britannica, che "eccelleva nell'arte della fortificazione e dell'assedio, della marcia e della contromarcia, e del taglio delle linee di comunicazione del suo nemico. Nel sostenere gli eserciti permanenti, ha chiaramente previsto le tendenze future in campo militare" e nel dividere le forze in unità funzionali ha anticipato Napoleone. Teorico, nell'opera Delle Battaglie e il Trattato della Guerra ha promosso l'idea che gli eserciti fossero un corpo vivo della società da tenere in attività costante, leggendo in quest'ottica l'idea di formazione della coscienza dello Stato-nazione in atto nell'Europa a lui coeva. E facendolo, paradossalmente, da generale di un Impero che amava professarsi universale.

Vent'anni prima della carica degli Ussari alati polacchi alle porte di Vienna (1683) che fermò per sempre l'avanzata ottomana, fu Montecuccoli a infliggere una sonora sconfitta ai turchi nella guerra con l'Impero nel 1664, sul fiume Raab, nell’attuale Ungheria, in una battaglia che impedì agli eserciti ottomani di penetrare nel cuore dell’Impero ancora fragile per l'onda lunga delle sconfitte della Guerra dei Trent'Anni. Nello sconfinamento tedesco della guerra franco-olandese combattuta dal 1672 al 1678 Montecuccoli rintuzzò nella campagna difensiva le avanzate francesi oltre il Reno. Si scontrò con i due migliori generali francesi dell'epoca, Henri de Turenne e Luigi II di Condé, ai quali è stato accostato, guidando la difesa del suo Paese.

Montecuccoli fu il generale della difesa in profondità, della guerra combattuta in forma elastica e dinamica, della modernizzazione delle truppe di un Impero nato come grande entità feudale e via via sempre più antistorico. A cui garantì, con le sue vittorie, un prolungamento della vita fino al definitivo tracollo dell'entità germanica a guida asburgica ai tempi di Napoleone. Fu teorico dell'arte della guerra, seppe essere diplomatico per Vienna alle corti di Svezia e Roma, e secondo Ugo Foscolo "con gli scritti rese eterno quanto aveva compiuto con le sue gesta". Dopo la morte nel 1680 la sua figura è caduta troppo a lungo nel dimenticatoio della Storia, complice il fatto che non fu un conquistatore, un fondatore di imperi, un uomo a capo di regni e potentati ma, dal 1625 al 1675, un soldato tutto d'un pezzo. Rispettoso, inoltre, di avversari e nemici, primi fra tutti i generali della parte opposta.

Una visione moderna della guerra che cozzava con la nuova barbarie delle guerre fratricide e di religione che insanguinavano l'Europa.

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