Lucetta Scaraffia, storica e giornalista, ieri sul quotidiano «Il Riformista» la sua voce fuori dal coro: davvero non si associa agli «indignati per i matrimoni combinati»?
«Certo e lo ribadisco: mi indigno contro luso della violenza, ma non mi indigno allidea di un matrimonio combinato».
Perché?
«La libertà di scegliersi il coniuge è relativamente recente anche nella nostra società. Non possiamo fare tanto gli indignati. Fanno parte di una forma culturale diversa dalla nostra. E io dico: chi vuole restare in un regime di matrimoni combinati ci resti».
Lei non è favorevole ai progressi della civiltà e della storia?
«Da donna occidentale anche per me i matrimoni combinati sono inconcepibili. Ma è un nostro dogma che quelli non combinati riescano meglio degli altri».
Forse non riusciranno meglio, ma sono il frutto di una libera scelta.
«Io dico che il mito dei matrimoni damore più felici è stato ampiamente superato dai tempi. Anche nel cinema ci sono esempi che raccontano di come il matrimonio combinato si scopre migliore degli altri. Insomma, non è il caso di trattarli come se fossero una forma di barbarie. Sono solo una forma diversa di organizzazione familiare. Purché dietro non ci sia violenza fisica, ovviamente».
Non cè forse unaltra forma di coercizione?
«Non credo. Sul Riformista ho citato il caso della mia cameriera cingalese, felicissima del matrimonio che i genitori le avevano combinato: lo sposo è un bellissimo ragazzo, che aveva un lavoro sicuro e una casa».
Non poteva trovarlo da sola un ragazzo così?
«In ogni caso i genitori hanno pensato a lei con amore e non per danneggiarla o per venderla».
Eppure dietro ai matrimoni combinati cè di mezzo la dote. Un affare economico.
«Non necessariamente. In questo caso lo sposo aveva un lavoro e una casa. Ma anche la gente che si sposa per amore si sposa solo quando ha un lavoro o una casa».
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