È dunque giunta l’ora del riscatto. Non avevo dubbi. Sono passati più di vent’anni dalla sera in cui a una preside che non accettava le mie critiche ai suoi versi dandomi con insistenza dell’asino risposi con un secco e definitivo: «Stronza!». Scandalo, polemiche sui giornali, commenti infiniti e anche processi alla conclusione dei quali fui definitivamente condannato a pagare sessanta milioni di lire per una «stronza» a fronte di venti milioni di «sconto» per i cinque «asino» ricevuti. Una «stronza» mi costò quaranta milioni. Oggi vedo che la parola circola con più libertà e Bossi si concede uno «stronzo» a Fini, ma soltanto dopo che lo stesso Fini aveva rivolto un generico «stronzo» a chiunque si fosse mostrato razzista. Con l’aggravante del compiacimento di aver pronunciato la fatidica parola davanti a un gruppo di studenti in una scuola. Dall’alto della mia condanna e del mio remoto primato mi sembra opportuno fare alcune osservazioni. Intanto la parola, prima del suo significato. E se di conio recente e di uso ordinariamente metaforico. In senso tecnico lo «stronzo» dovrebbe essere un pezzo di merda, formulazione più cruda e diretta e ancora letteralmente offensiva (per averla pronunciata all’indirizzo di un noto giornalista televisivo sono stato condannato in primo grado, per fortuna in tempi recenti, a pagare 30mila euro di risarcimento. Interrogato sulla mia valutazione della condanna, ho tentato un risarcimento definendo il medesimo giornalista «una merda intera». Nuova condanna a 40mila euro). E invece lo «stronzo» non ha più alcun rapporto con l’oggetto di provenienza e mi sembra che l’uso del termine sia, oggi, completamente separato e disinfettato dagli aromi di provenienza. A naso, verificandone l’uso nella letteratura e anche nella consuetudine della conversazione, la parola «stronzo» si afferma in epoca assai recente con una progressiva intensificazione nel secondo dopoguerra: non se ne trova traccia nelle opere classiche di Moravia, mentre ne fa certamente uso Pasolini. Ma è probabile che l’intensificazione, fino ai livelli odierni, dipenda dallo straordinario successo di uno dei più straordinari classici moderni: «Il giovane Holden» di G.D. Salinger del 1952 dove naturalmente il termine è l’equivalente in lingua inglese. Ma è curioso osservare che nella prima e dimenticata traduzione italiana dell’editore Gerardo Casini il termine è tradotto con blandi sinonimi. Soltanto nella seconda fortunatissima traduzione di Adriana Motti, credo del 1963, il termine «stronzo» è usato a piene mani insistentemente ed efficacemente. La grande fortuna anche italiana del libro ha certamente favorito la diffusione del termine. Come è intuibile sono stato un lettore innamorato del «Giovane Holden»; ma, contestualmente, ho trovato il termine in alcuni versi memorabili di un libro sfortunatissimo, uscito nei primi anni 60, credo in poco più di 1000 copie, e subito ritirato dal commercio, non per l’intervento di un magistrato solerte ma per una razzia sistematica dei familiari della persona offesa, tuttora vivente, una delle sorelle del noto Pierluigi Bormioli, industriale del vetro di Parma, noto per i suoi tempestosi amori con Tamara Baroni. Una delle sorelle di Pierluigi fu disperatamente amata da Antonio Delfini, l’autore del «Fanalino della Battimonda», che dopo la terribile delusione amorosa dedicò all’amata le sue «Poesie della fine del mondo», temerariamente pubblicate dall’editore Feltrinelli, nelle quali si leggono i versi: «Tutto mi hai tolto, neanche la terra mi è rimasta: stronza nefasta!». Ho vanamente tentato di dimostrare che il mio uso della incriminata parola aveva fonti tanto autorevoli. Ma vanamente! I giudici sono stati implacabili eppure le recenti uscite di leader politici (anche quella di Fassino che ha dichiarato: «Berlusconi dice che quelli di sinistra non si lavano? Sono stronzate») dimostrano che la parola ha perso ogni collegamento con le sue origini materiali ed è diventata un insulto prezioso e sofisticato. Non solo per l’incredibile diffusione ma per la sostanziale differenza con termini analoghi o di identico significato come, appunto, «merda» o «pezzo di merda». «Stronzo» è infatti, letteralmente, chi fa il vantaggio e il danno altrui: un datore di lavoro prepotente, un preside, un direttore di giornale, un politico antagonista: «stronzo» è Bossi per Fini e Fini per Bossi; e, per tutti e due «stronzo» è Berlusconi. Generalmente lo stronzo è un impotente nei confronti del quale nulla possiamo. Se non imprecare. Stronzo è chi fa un dispetto, chi manca un appuntamento, chi si comporta scorrettamente per proprio tornaconto. E la condizione dello stronzo non è sostanziale ma transitoria, non è una natura ma un modo di essere temporaneo. Si è «stronzi» per una certa cosa e fino a un certo momento, e poi non lo si è più. Si può essere «stronzi» per alcune ragioni e simpaticissimi per altre. La stessa persona non è oggettivamente «stronza»: può esserlo per uno e non per un altro, in virtù del proprio comportamento. Nella fattispecie una donna bellissima e gentilissima, nello stesso momento è «stronza» per l’uomo a cui si nega ed è straordinaria per l’uomo a cui si concede. Non c’è quindi un assoluto dello stronzo. Si è stronzi a termine. E il caso della donna sopra ricordato indica che, in una disponibilità successiva, la condizione di «stronza» può decadere. E può comunque permanere a tempo determinato. Ci sono peraltro «stronzi» più stronzi di altri, e più resistenti; ma, sommamente in politica, la stronzaggine è transitoria. Se si esclude infatti la persistente natura da diverse parti riconosciuta, di Berlusconi, in quasi tutti gli altri casi lo «stronzo» si può repentinamente trasformare in un amico. Oggi Fini è «stronzo» per Bossi, domani chissà. Casini aspira alla condizione di «stronzo» permanente ma lo fa deliberatamente per aumentare il suo potere. E alcune posizioni come Fassino versus Berlusconi sono irrecuperabili ma, in definitiva, chi ha più potere è più «stronzo» e finché rimane tale si intende che è considerato potente. Quanto fu «stronzo» Andreotti e quanto oggi non lo è più! In ragione del suo potere, oggi infinitamente diminuito. Meglio fare rabbia che compassione.
Ed è opportuno meditare sulla massima di Stanislaw Lec: «Tutti gli dei furono immortali». Meglio dunque essere «stronzi», il più a lungo possibile. Vuol dire che si conta, che si esiste. Ad multos annos! E con i migliori auguri per tutti gli stronzi al potere.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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