Erba - «Adesso basta, ci avete proprio stancato. Non siamo assassini». Eppure i carabinieri e i magistrati dicono il contrario. Olindo Romano, il netturbino, e sua moglie Rosi Bazzi, i vicini di casa di Raffaella Castagna, quelli che litigavano spesso con lei e il marito Azouz Marzouk, quelli che avrebbero dovuto comparire davanti al giudice due giorni dopo il massacro di Erba proprio per le discussioni con la coppia, quelli che chiamavano i carabinieri perché non sopportavano che la loro quiete venisse turbata, ora sono in stato di fermo. Le accuse: omicidio plurimo aggravato per lui, concorso in omicidio per lei. Il presunto assassino sarebbe stato riconosciuto anche dall’unico sopravvissuto alla strage, il vicino Mario Frigerio.
Era da giorni che circolavano i nomi del netturbino e di sua moglie, da giorni loro ripetevano di essere «tranquillissimi, quella tranquillità che deriva dal non c’entrare proprio niente». Quarantaquattro anni lui, 43 lei, la sera dell’11 dicembre, sostenevano di essere stati in pizzeria e quindi, anche se è tutta la vita che litigano con i Castagna Marzouk per i rumori che arrivano dalla loro casa, le urla del massacro non potevano averle sentite.
Questa è stata la loro versione dal primo giorno. Ieri hanno perso le staffe con i giornalisti che li assediavano. «Adesso avete proprio rotto le palle», ha imprecato la signora Rosi dopo essere uscita in cortile per chiedere ai due carabinieri di piantone: «E adesso ci dite come facciamo a uscire?». Ci hanno pensato loro, i carabinieri, a farli uscire, seduti sul sedile posteriore della loro auto. Destinazione caserma di Erba prima, e carcere Bassone di Como dopo, dove i Romano-Bazzi sono stati messi sotto torchio e dove qualche ora dopo è arrivato il provvedimento di fermo per entrambi. «Siamo innocenti», hanno ripetuto. Ma la Procura, pur ricordando che si tratta di un provvedimento cautelare e non di una condanna definitiva, ritiene di avere contro di loro prove sufficienti. Soprattutto macchie di sangue (non appartenenti alle vittime) trovate poco lontano da dove Raffaella è stata massacrata con il figlio Youssef, la mamma Paola e la vicina di casa Valeria Cherubini. Alcuni capelli trovati sul luogo della strage. E anche un paio di calzoni scovati nella lavatrice dei Romano-Bazzi, con aloni scuri che fanno pensare a macchie di sangue non rimosse del tutto dal detersivo.
Ieri mattina Olindo Romano era uscito all’alba, per andare al lavoro nell’impresa di nettezza urbana Econord, a Figino Serenza. Rientrato in via Diaz all’una meno un quarto, ha cercato di aggirare telecamere e taccuini passando dal cancelletto sul retro del cortile, se li è ritrovati lo stesso tutti addosso. Sua moglie si è affacciata alla porta del garage lavanderia per andargli incontro e mentre lui sgusciava in casa senza dire nulla, ha urlato: «Non siamo assassini. Lasciateci in pace».
Tempo mezz’ora e un’auto dei carabinieri è arrivata in via Diaz. È sceso un militare con un foglio in mano. Qualche minuto dopo il netturbino e la moglie sono usciti e sono saliti sull’auto dei militari. E poco dopo è arrivata la notizia del fermo.
«Avevo dei dubbi su di loro – commenta Azouz - e lui aveva una causa due giorni dopo perché aveva picchiato Raffaella. Sono persone strane con atteggiamenti strani. Ma preferisco aspettare a parlare. Certo è che se l’hanno fatto loro, sono degli animali».
Proprio quella causa, in cui il netturbino era stato denunciato per ingiurie, percosse e minacce, potrebbe essere l’assurdo movente della strage. Lui voleva che la donna la ritirasse e sarebbe arrivato a minacciarla che qualunque cosa avesse fatto nei suoi confronti gliela avrebbe fatta pagare.
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