Con gli stranieri arrivano i rischi

Negli anni precedenti la crisi del 1929, la frenetica attività di mergers & acquisitions dei gruppi americani, generò l’illusione di un boom economico in atto. Si trattò di un fenomeno finanziario fondato sul presupposto che una grossa azienda vale più della somma delle sue parti costitutive; in qualche caso ciò risponde a verità, ma è generalmente errato. Come ha dimostrato il ciclo clintoniano e quello degli anni Novanta in Italia, un’ondata di acquisizioni può provocare un forte rialzo borsistico ed un infondato ottimismo con risultati disastrosi per i risparmiatori. Le scalate ai nostri gruppi bancari, sono destinate a creare nuova ricchezza per il Paese o piuttosto a distruggerla? I cultori del moderno laissez faire, affermano che le banche devono essere gestite secondo logiche di mercato, qualunque sia l’azionariato. Ciò comporta che il risparmio raccolto in Italia resterà impiegato nel Paese nei periodi di espansione economica e andrà in altre parti del mondo nei cicli depressivi. Si fa allora questo ragionamento: le banche a vocazione territoriale non hanno futuro; meglio che siano assorbite dai grandi gruppi esteri in grado di introdurle su nuovi mercati. Questo ragionamento è molto semplicistico.
Anzitutto, se l’economia non tira, è evidente che l’interesse prioritario della banca estera è quello di rastrellare risparmi per investirli fuori dal Paese della controllata. Il rischio è che la politica degli impieghi non sia guidata dai soli calcoli di convenienza economica, come è accaduto per gli investimenti destinati alla ricostruzione degli ex Paesi a socialismo reale che gravitano nell’area di influenza tedesca. Per il funzionario di banca diligente basta leggere gli indici di affidabilità pubblicati da enti specializzati di matrice anglosassone per decidere l’investimento. A questa tecnicalità si devono le perdite del nostro Paese a favore del sistema produttivo americano che era riuscito a convogliare enormi capitali destinati a finanziare la ricerca e lo sviluppo tecnologico di imprese ad alto rischio, classificate come leaders di settore e fallite all’improvviso.
Ci sono volute bancarotte epocali per scoprire che le leggi sul falso in bilancio americane non costituivano deterrente per capi azienda disinvolti. Occorre inoltre sfatare l’idea che i banchieri esteri valicano le Alpi per seminare efficienza a vantaggio della clientela italiana.
Le banche arrivate in Italia in nome della libertà di stabilimento, se ne sono sempre ben guardate dall’agire come pungolo della concorrenza o per abbassare i costi dei servizi. L’effetto immediato dell’incorporazione di una banca italiana da parte di un gruppo estero, è dunque quello di spostare risorse finanziarie in altri territori. La convinzione che l’investimento effettuato per la scalata verrà ripagato dai soli dividendi, magari a seguito di opportuni interventi di riorganizzazione, non regge alla prova dei fatti.
Nella pratica, i Paesi che dispongono di un sistema finanziario potente, cercano con ogni mezzo di sfruttare i vantaggi della posizione, imponendo prodotti più o meno volatili che garantiscono una migliore remunerazione apparente nel breve periodo. La continua scoperta di prodotti finanziari risponde all'esigenza di far dimenticare le truffe perpetrate con quelli venduti qualche anno prima, come è avvenuto per i primi fondi di investimento o per i titoli atipici.


Spetta ai governi e alle Autorità da essi delegate, proteggere il risparmio introducendo norme cogenti in grado di ridurre il divario tra l’ideale della libera concorrenza e la realtà dell’agire d’impresa nei mercati finanziari.

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