nostro inviato a Rimini
È matematica ma anche politica. Un calcolo semplice che contiene un messaggio affilato per lEuropa: «Questa notte nelle carceri italiane hanno dormito oltre 63mila detenuti. La capienza regolamentare è di 43mila persone. Gli stranieri sono oltre 20mila, il che vuol dire che il sistema carcerario è modulato sulle esigenze della popolazione italiana». Dal palco parla il ministro della Giustizia Angelino Alfano. Il pubblico del Meeting di Rimini non lo accompagna con i fischi, non lo prega di parlare di accoglienza, nessuno lo accusa di razzismo. Cè un contestatore nella sala Neri, di nome Sabatino Savaglio. Tenta di esporre uno striscione ma chiarisce subito: «Ce lavevo con Mancino» (ndr, Nicola Mancino, vicepresidente del Csm). Il servizio di sicurezza lo allontana.
La teoria percentuale sul sovraffollamento è la carta che Alfano gioca da Rimini con Bruxelles: due terzi dei carcerati sono italiani, un terzo stranieri. Sono necessarie regole o aiuti economici dalla Ue. Lemergenza degli sbarchi e le carceri che esplodono sono situazioni saldamente intrecciate e il motivo è sempre lo stesso: «LEuropa deve capire che non è colpa dellItalia, non è colpa della Sicilia, non è colpa di Agrigento se Lampedusa è il punto di incontro tra nord e sud», se gli extracomunitari che puntano al vecchio continente sbarcano per ragioni geografiche sulle coste italiane: «La Ue - dice Alfano - ci ha condannato a mille euro per un bosniaco che ha fatto ricorso». Il governo italiano gli ha offerto «vitto e alloggio», oltre al «giusto processo», ma è proprio questo il caso simbolo. Più stranieri arrivano nel Paese e più alta è la percentuale di coloro che, non trovando unoccupazione, delinquono e finiscono in cella: «O lEuropa diventa interlocutore facendosi garante di nuove regole, o ci dà i soldi per costruire nuove carceri. LUnione non può comminare sanzioni senza aver prodotto una regola». Il pubblico a questo passaggio dimostra approvazione con un applauso fragoroso. Non era molto scontato dopo la dura polemica tra Avvenire e la Lega, con lultimo scontro frontale che ha visto protagonisti Calderoli e monsignor Vegliò. È difficile capire da che parte sta davvero questo popolo di cattolici che fa la fila per assistere alle conferenze dagli argomenti più complicati (ieri si parlava di riforma del Csm), portandosi appresso neonati in carrozzina, composto anche da molti adolescenti che prendono appunti come scrupolosi dottorandi.
Non ci sarà «nessun indulto», entra poi nel dettaglio il ministro. «Negli ultimi sessantanni il sovraffollamento è stato risolto con 30 provvedimenti di amnistia. Noi abbiamo scelto unaltra strada». E quindi «nuove carceri e educazione al lavoro dei detenuti». Applauso: «Lunico ambito che non ho voluto tagliare nonostante la crisi». Perché il carcerato sia messo nelle condizioni di cambiare vita «con un lavoro diverso da quello che svolgeva prima. La nostra non è una giustizia con la bava alla bocca». Applauso, ancora.
Devono partire ora nuove riforme «condivise» nel segno della certezza della pena e dellaccelerazione dei processi, ma si deve «decidere»: «Se diciamo agli elettori che non abbiamo fatto niente ma abbiamo dialogato alla grande secondo me non ci fanno i complimenti». In ogni caso cè la promessa: «Prendo limpegno da qui: chiamerò i leader del Pd in materia di giustizia per un confronto a tutto campo». Ma il dialogo sarà possibile se il Pd «avrà il coraggio di smarcarsi dal dipietrismo» per porre al centro delle riforme «luomo, il cittadino». Mancino si mantiene invece lontano dalla politica, ma stupisce quando afferma: «Cè una maggioranza che ha il diritto dovere di approvare le riforme», a patto che non si faccia «con arroganza». Il fine è «il bene comune».
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