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Con Strauss-Kahn l’America processa la Francia «matrigna»

«Not guilty», non colpevole, ha detto Dominique Strauss-Kahn al giudice che gli poneva la domanda con cui si apre ogni processo americano: «Lei si dichiara colpevole o innocente?». Nei processi di poco conto, ladruncoli e truffatori si precipitano a dichiararsi colpevoli se sanno che contro di loro ci sono prove: negli Stati Uniti è considerato arrogante dichiararsi innocenti quando si è manifestamente colpevoli, perché una tale dichiarazione implica l’apertura del processo che costa un sacco di soldi al vero sovrano che non è il presidente ma il «tax payer», il contribuente, il quale va in bestia se vede i suoi soldi gettati al vento.
Ma se si tratta di un grande caso giudiziario, allora la regola vuole che l’imputato di grido, quello che ha diviso e indignato l’opinione pubblica, si dichiari innocente e faccia partire la macchina processuale, ma sapendo che in corso d’opera può cambiare idea e dichiararsi colpevole così come l’accusa conserva in ogni fase il diritto a cambiare i capi d’imputazione. E a quanto pare il caso di Dsk ormai nell’opinione pubblica quasi sfiora la popolarità di quello di Ojs, cioè di O. J. Simpson, il campione di football che la fece franca dopo aver probabilmente ammazzato la moglie fedifraga e il suo amante, perché alcune prove - un paio di calzini insanguinati sulla siepe - erano state raccolte in modo formalmente sbagliato: l’America e il suo sistema giudiziario sono estremamente formali nelle procedure ma elastici nel consentire a difesa e accusa di duellare ad armi pari, con colpi bassi e trucchi teatrali. Ma è certamente il Paese in cui si preferisce lasciare libero un manifesto colpevole piuttosto che avallare il prelievo irregolare di calzini insanguinati che erano la prova provata della colpevolezza di O. J.
L’opinione pubblica americana vive la giustizia come spettacolo e come continua palingenesi: ad ogni grande processo lo spirito dei «common values», i valori condivisi, rinasce di nuovo, oppure con grande scandalo viene umiliato. E per sostenere questa rinascita del giusto e del vero si organizza e manifesta fuori dai tribunali. Ieri infatti le cameriere dell’hotel Sofitel, colleghe della cameriera presunta vittima di Dsk, erano ben organizzate con cartelli e gridavano «criminale» all’imputato che, con disinvoltura tutta francese, si è presentato accompagnato dalla moglie Ann Sinclair. La quale sa bene che il marito si dichiara innocente non perché neghi di aver avuto rapporti sessuali con la cameriera africana, ma perché sostiene che lei era consenziente. Il fatto che la moglie di un tale marito si presenti al suo fianco davanti alla Corte e al Paese, manda in bestia l’americano medio e riaccende l’antico conflitto fra le due nazioni. Conflitto fra genitore e figlio, essendo la Francia il genitore e la nazione americana il figlio.
Che le cose stiano così, lo sa ogni americano e più degli altri ogni abitante di New York, dove ogni genitore tenta di far imparare un po’ di francese ai figli. È tramontata da molto l’epoca in cui francesi e inglesi, poi americani, si affrontavano con le artiglierie sulle terre canadesi e gli ufficiali del re borbonico invitavano gli avversari: «Monsieurs les Anglais, tirez les premiers», signori inglesi sparate per primi. Altri tempi: ma la madre padrona americana non perdonerà mai i francesi per aver inventato e diffuso il bidet (peraltro oggi poco usato in Francia) che nell’immaginario protestante è soltanto un oggetto da bordello, improponibile in una famiglia timorata di Dio, testimone americano da finire sul dollaro: «In God we trust».
Ieri davanti alla Corte di New York è stato messo alla sbarra un europeo, francese per giunta e accusato di crimini sessuali commessi ai danni di una lavoratrice africana. L’elenco è impressionante: fellatio imposta con la forza con l’aggiunta del reato di sodomia coatta, (delitto ripetuto due volte e dunque doppio computo di detenzione pari a 25 anni); tentato stupro di primo grado, il che vuol dire tentata penetrazione vaginale senza consenso; aggressione sessuale di primo grado per aver minacciato la vittima imponendole una fellatio (sette anni di reclusione); sequestro di persona, toccamenti non consentiti e una ulteriore «aggressione sessuale di terzo grado», per altri toccamenti illeciti ma diversi dai primi.
Dunque aleggia una pesante nube di riprovazione per un comportamento che da tutti è considerato biecamente razzista, sessista e torbidamente «europeo». Gli americani, in particolare a New York, quando pronunciano la parola Europa, in genere intendono Francia e per Francia intendono Parigi rappresentata dal simbolo della Tour Eiffel. E infatti la torre di ferro campeggia sulla copertina di un libro molto fortunato, «Not like us» di Richard Pells che fa il punto sul conflitto psicologico, ideologico, letterario, politico e culturale fra europei (leggi francesi) e americani: «Non sono come noi» ha un sottotitolo che spiega: «In che modo gli europei hanno amato, odiato e trasformato la cultura americana dalla fine della Seconda guerra mondiale». Gli europei (ma più di tutti i francesi) sono da tempo sospettati di aver contaminato l’America perché gli europei (ma più di tutti i francesi) hanno introdotto e seguitano ad introdurre elementi di decadenza nella «terra delle opportunità» e del resto i francesi sono gli unici europei che non sono emigrati in massa negli Stati Uniti. I francesi semmai possedevano circa la metà del sud degli Stati Uniti - la Louisiana, la terra di re Luigi - e la vendettero per pochi soldi al presidente Thomas Jefferson per fare cassa durante le guerre fra Napoleone e gli inglesi.
La Francia tenne a battesimo la rivoluzione americana per tenere sotto pressione l’Inghilterra e Lafayette andò a combattere per gli insorti con un gagliardo corpo di volontari, come vuole l’iconografia. Inoltre la Francia regalò proprio alla città di New York la verde Miss Liberty, la Statua della libertà che con la sua fiaccola vorrebbe vanamente diffondere nei cervelli americani i lumi della ragione. La Francia dunque, nell’immaginario americano, ha avuto e mantiene nei confronti dei figli bastardi americani un atteggiamento di sufficienza, condiscendenza, fastidio critico, benché abbia sempre apprezzato la qualità dei suoi film e della letteratura. Ed è ancora recente l’immagine irata degli americani che di fronte alla condanna francese dell’intervento in Irak versano nelle strade fiumi di champagne e ribattezzano le «French fries», le patatine fritte chiamate «francesi», «American fries», patriottiche patatine a stelle e strisce...


Di qui la domanda ovvia e inevitabile: sarà il processo a Dsk un equo processo, o la messa in scena di un antico malessere e di uno spirito di vendetta? Se la domanda è inevitabile, anche la risposta lo è: la Corte sarà irreprensibile ed equa, ma sarà feroce e non farà sconti.

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