Cultura e Spettacoli

Stress, donne e pubblicità Vita del signor "Mad Men"

P er chi è poco avvezzo al mondo della pubblicità o non si è lasciato incuriosire dal grandissimo successo della serie televisiva Mad Men, il nome di Jerry Della Femina risulterà nuovo. Della Femina è stato ed è tuttora considerato un vero e proprio guru fra i copywriter. Autore di alcune delle pubblicità più discusse degli ultimi quarant’anni, personaggio sopra le righe (ricordate la frase «Hitler ha sterminato sei milioni di ebrei, ma prima ha dovuto far fuori sei milioni di libri»?), repubblicano, celebre per i suoi messaggi aggressivi, provocatori, ironici delle proprie campagne, ha avuto il merito di svelarci, in un libro del 1970, il dietro le quinte di questo lavoro. Un libro che viene ora pubblicato da Rizzoli Bur con il titolo Da quei bravi ragazzi che si sono inventati Pearl Harbor (pagg. 326, euro 12,50).
Gli anni sono quelli del Sessantotto, della contestazione politica, della guerra in Vietnam, della liberazione sessuale, del rock. E se nel Greenwich Village Bob Dylan e Allen Ginsberg stanno cambiando il linguaggio, a Madison Avenue un altro linguaggio, quello della pubblicità, dei copywriter e degli art-director sta per essere rivoluzionato. Jerry e altri mad men come lui portano una ventata di aria fresca. Il consumatore non deve essere più trattato come un bambino, accudito e coccolato, spiega Della Femina. Il pubblico degli anni Sessanta ha raggiunto l’età adulta. E così anche la pubblicità deve cominciare a parlare un linguaggio realistico. La rivoluzione comincia quando alcuni creativi realizzano per la Volkswagen una campagna pubblicitaria inedita, dove si ammette che in alcune occasioni anche i loro prodotti possono essere fallati. Come dire: non tutte le ciambelle riescono col buco, ma noi ce la mettiamo tutta. Seguono il Marlboro Man e L’Allegro Gigante Verde inventati da Leo Burnett, e poi le pubblicità progresso, i primi attori reclutati per le réclame.
I pubblicitari sono presentati come gente folle: si direbbe un ingrediente essenziale per restare a galla. Spesso hanno avventure extraconiugali, si ubriacano con regolarità e a volte si ritrovano per strada senza un soldo. Perché il loro è un lavoro creativo e giovane dove, una volta raggiunto l’apice, si tende facilmente a precipitare. Altri giovani avanzano. C’è gente che accoltella telefoni perché squillano troppo, gente che viene sorpresa con le braghe calate, altri che lavorano solo di notte e chiedono turni di lavoro insostenibili. Figure che sembrano uscite direttamente dalla pazza America anni Sessanta di Vonnegut (che, coi suoi slogan, sarebbe stato un pubblicitario perfetto). Gente che è arrivata a far parte di quel mondo perché, come si dice, aveva un sogno. Ma non sempre è il sogno che ti aspetti. È il caso di Della Femina: mentre faceva il fattorino per il New York Times aveva visto i copywriter dei grandi magazzini seduti coi piedi sulla scrivania a far niente e aveva deciso di diventare uno di loro.
Ma la realtà è prosaica, una volta giunti in trincea. Il copywriter non è semplicemente quello che scrive la frase sotto la foto, circondato da ragazze che vogliono fare l’amore con lui in ufficio. Il mestiere è stressante, in molti hanno bisogno dello strizzacervelli. I clienti appaiono e scompaiono. Quando si precipita, si precipita tutti. Il licenziamento è sempre dietro l’angolo. C’è la censura, la terribile censura degli anni Sessanta, che arriva a scandalizzarsi se un’attrice dice «è sicuro» pubblicizzando un detergente intimo. E poi ci sono le regole del gioco, spesso imprevedibili. Che cosa fa preferire una benzina all’altra? Come si può promuovere una banana senza cadere nel ridicolo (ci riuscì la campagna della Chiquita)? Come evitare errori clamorosi (a esempio, la campagna pubblicitaria «Il lamento di Ballatine» che venne fatta ispirandosi al famoso romanzo di Philip Roth, solo che a nessun bevitore fregava nulla di Roth). A tutto questo si aggiunge la frustrazione di fare un mestiere creativo dove però l’artista rimane sempre nell’ombra. Molti copywriter credono di essere all’altezza di Faulkner o Hemingway ma si dimenticano una cosa essenziale: nessuno compra un giornale per leggere le pubblicità.
Il copywriter è costretto a osservare ciò che la gente è davvero. E così Da quei bravi ragazzi che si sono inventati Pearl Harbor (il titolo è una frase inventata da Della Femmina per una campagna pubblicitaria della Panasonic) descrive l’America alla fine degli anni Sessanta e ciò che sarebbe diventata: l’arrivismo, la voglia di evasione, gli impulsi sessuali, l’insoddisfazione. Quei copywriter erano i mad men che stavano giocando a dadi col mondo. Sulla East Coast, a New York, dentro un ufficio oppure in un bar davanti a un Martini.

Erano coloro che avevano inventato Pearl Harbor.

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