STRETTAMENTE CONFIDENZIALE

Mortificata da Julian Assange e da Porn Wikileaks (che ha pubblicato nomi, indirizzi e analisi mediche di 12mila attori porno), l’Fbi ha deciso di rilanciare la propria immagine e all’inizio di aprile ha aggiunto al suo archivio pubblico (http://vault.fbi.gov) una bella carrettata di pruriginosi files sino ad oggi coperti da segreto di Stato. Le redazioni dei tabloid anglosassoni ci stanno andando a nozze - soprattutto per le rivelazioni che confermerebbero la presenza di Ufo nel cielo del New Mexico - e tra gli intellettuali c’è attesa per il prevedibile commento di Slavoj Zizek: «Come volevasi dimostrare, la missione storica dell’America è di gettare tutto in pop».
Non avrebbe torto, il filosofo sloveno. Frugando nei cosiddetti «Vault files», infatti, si scopre che non pochi di coloro che negli ultimi decenni sono stati «attenzionati» dall’Ufficio federale di investigazione appartengono (da protagonisti) alla pop culture più ortodossa. Michael Jackson fu spiato nel 1993-94 e poi di nuovo nel 2004-05, causa sospetta pedofilia. Nel dossier su di lui troviamo la copia della patente di guida (con i capelli ancora ricci), i report di interrogatori condotti persino nelle Filippine (dov’erano tornati alcuni domestici che avevano lavorato per Jackson nella residenza di Santa Barbara), lettere private e una buona collezione di articoli presi dalle riviste scavafango di Hollywood. James Ellroy ci sguazzerebbe come un bambino: leggendolo si percepiscono fisicamente, come in un thriller, le trame dello spionaggio investigativo stringersi intorno al cantante e si seguono, quasi in cinemascope, tutti gli spostamenti da un motel all’altro, da un aeroporto all’altro, dei detectives assegnati all’indagine.
Molte star fanno compagnia a Jackson: da Frank Sinatra (2500 pagine di dossier, sorvegliato a fasi alterne dal 1943 al 1985 per presunta collusione con la mafia, estorsione e addirittura «tendenze comuniste»: una volta osò persino cantare due canzoni a una festa di sinistra) al rapper Notorius B.I.G., coinvolto in varie vicende borderline e assassinato il 9 marzo del 1997 su una Chevrolet Suburban da un afroamericano vestito con smoking blu e papillon (raccomandiamo ai cronisti in erba di studiare questi dossier per imparare «il mestiere dei dettagli»). I Kiss, invece, furono «seguiti» di routine a causa degli «insoliti problemi di ordine legale» (si legga: esplosioni di violenza) che si creavano durante le loro performances, mentre per Jimi Hendrix e i Grateful Dead (con Jerry Garcia titolare di un Vault file dedicato) le ragioni della Legge appaiono più chiare: droga. Nel marzo del 1969, con il beneplacito del direttore J. Edgar Hoover (che scrive: «Tutto ciò potrebbe avere effetti dannosi sui nostri giovani»), Jim Morrison & The Doors furono messi sotto osservazione per «linguaggio sporco e repellente» e per una serie di inqualificabili, lascive esibizioni pubbliche. Che vanno a far compagnia a quelle di John Lennon e Yoko Ono (nudi sulla copertina di un album): i due, tra l’altro, come viene riportato in un file di 200 pagine, coltivavano una profonda amicizia con le droghe e finanziavano gruppi di sinistra. Anche gli altri Beatles davano filo da torcere: sceriffi locali e agenti dell’Fbi scrutavano che tipo di pubblico attirava la band e riuscivano a intercettare in anticipo (come in un report da Kansas City nel 1964) l’atmosfera che si sarebbe creata durante il concerto.
Ci sono pure dossier più recenti da cui sappiamo che la coniglietta di Playboy Anna Nicole Smith possedeva una 357 Magnum regolarmente registrata «per autodifesa», che però non la difese abbastanza da se stessa (morì per l’abuso di almeno nove sostanze diverse). La Smith fu indagata anche per aver dichiarato il falso durante una causa per bancarotta personale (nascose alcuni asset e gioielli del suo patrimonio).
C’è poi il capitolo scrittori. E qui, complice il narcisismo della categoria, se ne vedono di tutti i colori. Bertolt Brecht fu «attenzionato» nel 1943 per «inclinazioni comuniste», che nonostante la sua richiesta di diventare cittadino statunitense non si curava minimamente di sfumare. Il dossier su di lui riporta lunghi stralci di poesie e analisi filologiche dei suoi libri, con una pignoleria che si trova solo nei critici accademici. Truman Capote era sponsor di «Fair Play for Cuba Committee», gruppo filocastrista sorto nel 1960 per «dire la verità a chiunque la chieda» a proposito della Rivoluzione Cubana. Di Norman Mailer sappiamo fin dalle cronache: tendenza al whisky, alla marijuana e alle risse per strada; nel 1960 ferì una delle molte mogli (tre anni con la condizionale, lui commentò: «Finché usi il coltello c’è ancora un po’ di amore»). Ma per l’Ufficio federale il problema era un altro: Mailer andava in giro a dire che la stessa Fbi era una «polizia segreta» e che la si doveva abolire, prendeva parte a campagne pacifiste e rimaneva un «leftist» convinto, uno di sinistra, sebbene quando gli faceva comodo tendesse a nascondere la propria posizione politica.
Il malinconico e vitale Hemingway, invece, ha dato molto lavoro agli agenti dell’Fbi, in quanto residente a Cuba nei critici anni Quaranta e Cinquanta.

Durante la guerra pattugliò la costa in cerca di sommergibili tedeschi (molto whisky, pochi avvistamenti), più tardi fece «copertura di intelligence» per gli Usa, ma tutto finì «in report vaghi, infondati e sensazionalistici», per non dire di altre roboanti attività spionistiche che si piccò di svolgere, a sua volta spiato dall’Fbi, in un cortocircuito surreale. E da un dispaccio informativo all’ambasciatore all’Avana viene fuori che il vecchio Ernest andava in giro a dire che l’Fbi, in fondo, non era altro che «la Gestapo americana».

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