La strigliata di Napolitano: «Leggi scadenti»

RomaProvinciali, privi «di una visione sufficientemente ampia, europea», con poco senso dello Stato, aggravati da una «storica debolezza» e per di più appesantiti da «leggi confuse e scadenti». No, non siamo proprio messi bene, stando almeno alle parole di Giorgio Napolitano (nella foto), e ci vorrà un gran lavoro di tutti per affrontare le sfide che abbiamo di fronte, a cominciare dalla crisi economica. Colpa, secondo il presidente, del Palazzo in senso lato, e cioè del Parlamento e del governo: perché, dice, «non c’è dubbio» che in Italia ci sia stato un notevole «scadimento» dei provvedimenti legislativi. Bisogna invertire la rotta.
Napolitano celebra al Quirinale i 180 anni del Consiglio di Stato, una «magnifica fucina di servitori della cosa pubblica», un organismo di garanzia nato, «come scrisse Benedetto Croce, per frenare l’arbitrio dei partiti che prendono il governo». E lo fa lanciando un allarme sulla solidità del sistema Paese. Troppa superficialità, avvisa, troppa sciatteria. «Oggi in Italia si avverte un acuto bisogno di più cultura e più senso delle istituzioni, di più attenzione all’esercizio delle funzioni dello Stato e alle condizioni in cui versano le sue strutture portanti».
Sotto accusa le nostre leggi: sono tante, troppe, spesso mal fatte se non contraddittorie, quasi mai armonizzate con la normativa europea. Non è certo un problema di oggi, però qualcosa va fatta. «Per quanto antico o permanente sia il rischio di legiferare confusamente e in modo tecnicamente difettoso, in tempi recenti si è registrato un sensibile scadimento del processo di formazione legislativo». Napolitano chiede perciò «un forte impegno a reagire» e, per scrivere norme più chiare, suggerisce di usare «le energie che per vari canali può fornire il Consiglio di Stato», magari con «funzioni di consulenza e di collaborazione in seno ai ministeri». Con delle task force di esperti da affiancare ai politici, con questo innesto di «scrupolo di servizio rivolto esclusivamente all’interesse pubblico», il risultato finale sarebbe certamente migliore.
E poi, insiste, è davvero giunta l’ora di uscire dalle Alpi, di allargare lo sguardo. Siamo nella Ue, «ormai è essenziale una visione europea dell’evolversi e dell’intrecciarsi delle esperienze istituzionali».
Ma attenzione, evitiamo «equivoci pericolosi», far parte dell’Unione non significa disinteressarsi al funzionamento della macchina Italia.

«La necessità, sempre più matura, di estendere l’area di sovranità condivisa affidandone l’esercizio alle istituzioni comunitarie, nulla toglie all’esigenza di un efficace funzionamento e quindi di un rafforzamento delle strutture di uno Stato nazionale come il nostro». Cioè di un sistema «storicamente caratterizzato da intrinseche debolezze e oggi esposto a rischi di grave inadeguatezza». Conclusione: il momento è difficile, servono «coesione e solidarietà».

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