Il potere della Bocconi. Ci voleva la prestigiosa università di economia milanese, con un convegno di cinque ore suonate dal titolo «La rilevanza sociale, culturale ed economica di Striscia la notizia. Dalla nascita ad oggi» per costringere Antonio Ricci, il padre nobile dell’unico e incontrastato tg satirico, a indossare un impeccabile completo scuro, giacca e cravatta.
«Io sono quello che sta dietro le quinte, e che non ama apparire in tv - ha spiegato ieri mattina il guru di Albenga in un’Aula Magna senza posti liberi - Sono anche quello del lavoro sporco, che va in tribunale per assoluzioni o condanne (ma l’84% delle cause per diffamazione sono state vinte, ndr), o va a ritirare premi e riconoscimenti». Oppure, sembra di capire, a sostenere una mattinata intera di convegno dove professori dall’aplomb manageriale illustrano i risultati di una ricerca fatta di cifre ma, soprattutto di contenuti.
Il tutto per spiegare il mistero - o meglio la ragione “matematica” - di un successo, quello di Striscia la notizia, che dura da 25 anni. Con un consenso «dalla media costante». Insomma, se Striscia fosse un titolo in Borsa, o un’azienda, altro che crisi. Sarà per questo che del tg satirico armato di Veline e Gabibbo hanno parlato con occhio lucido e trasporto personaggi come il professor Maurizio Dall’Occhio, il dirigente di Rai4 Carlo Freccero, il Vicepresidente del Fai Marco Magnifico, il Presidente del Tribunale Livia Pomodoro e infine lui, Antonio Ricci.
Una tavola rotonda per spiegare quello che lo stesso Ricci definisce «una creatura rotonda: a Striscia non ci sono angoli retti, tutto è smussato, curva, suggerisce il disegno di un’onda. Siamo il tg del Dubbio, che raddoppia i conduttori, usa una velina bionda e una bruna, che fa apparire due soli in studio, per simboleggiare una cosa sola: non esiste una verità assoluta». Il pubblico l’ha capito da tempo, i professoroni e i tecnici, forse un po’ dopo.
Ma intanto oggi si sente definire Striscia la notizia l’antenato dei social network, della Rete, come Facebook, un luogo dove la gente, in modo interattivo e sentendosi direttamente rappresentata, denuncia disfunzioni, truffe, illegalità. Maurizio Dall’Occhio ha snocciolato qualche cifra come «i 28 arresti nati dalle denunce di Striscia, i 58 miliardi di euro in sprechi pubblici denunciati in tv dal tg di Ricci, otto dei quali recuperati dalla messa in funzione di enti o dalla soluzione di disfunzioni varie». Dalla stessa analisi si evince che sono più le donne (51%) che gli uomini a fidelizzarsi a Striscia, e che il Nord-ovest, con il 31% è la fetta geografica d’Italia più affezionata alla creatura di Ricci. Seguito da Sud e Isole, e chissà perché il Centro Italia, invece, fa un po’ spallucce.
Carlo Freccero, di suo, ha cercato di spiegare la magia del successo catodico di Striscia, ritornando sul tema del suo essere “proto” social network: «Oggi si parla tanto di infotainment, di questa tendenza all’ibridazione dei generi televisivi - ha spiegato il direttore di Rai4 - ma Striscia ne è stato il primo esempio. Striscia nasce da un’improbabile fusione genetica tra Drive In e il telegiornale. Ai tempi Mediaset non l’aveva, il tg pubblico era gutenberghiano, sul modello del giornale scritto. Era elitario e colto». Poi, arrivò Striscia. «Il migliore programma attuale - affonda ancora Freccero - di critica televisiva. Un modello che ha generato un figlio come Le Iene, evocando la ben nota funzione di Robin Hood per il cittadino».
E Antonio Ricci? Da invitato speciale gongola, ma con contegno e una certa classe perché «noi di Striscia non amiamo essere i monumenti, bensì i piccioni che fanno la cacca sui monumenti». Il padre del tg satirico ne ha approfittato per qualche amarcord: «L’idea primordiale di Striscia mi venne quando vidi, tanti anni fa, quell’essere pralinato di Bruno Vespa che dava la notizia sul mostro, parole sue, che aveva messo la bomba in piazza Fontana.
Ma ce la ricordiamo il tg e la televisione in bianco nero di quegli anni? Era pedagogica e tediosa. Ora Veltroni dice che era così bella... ma ci faccia il piacere. La schifosa tv di oggi ha molte più voci, ed è molto più democratica».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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