Stroncato il film su Silvio: troppo tenero con il Cav

RomaIl vero spettacolo tragicomico inizia alla fine del docufilm di Roberto Faenza e Filippo Macelloni «Silvio Forever». Sala del cinema piena come un uovo di cronisti per l’anteprima della pellicola più attesa e pompata che mai. Peccato che quando si accendono le luci, s’illumini a giorno l’astio nei confronti degli autori Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. La loro colpa: troppo soft. Prima obiezione: «Con questo film non rischiate (sic!) di centuplicare il fascino di Berlusconi?». Risponde il regista Faenza: «Ognuno farà le proprie valutazioni. Abbiamo solo raccontato Berlusconi, che rappresenta una parte del Paese». Stella capisce l’antifona: «Noi non siamo ostili a Berlusconi a priori»; Rizzo s’accoda: «Abbiamo solo voluto raccontare»; Faenza cerca di rimediare: «Comunque c’è una vena ironica, il film è dissacrante». Basta? No: travaso di bile in sala. I cronisti di sinistra sgorgano odio: «Dal film viene fuori un personaggio che si recupera molto». Come a dire: dov’è il Belzebù? Nervi a fior di pelle. Stella prova a ragionare: «Fare un film cattivissimo contro Berlusconi sarebbe stato facilissimo. Ma non ci interessava massaggiare le convinzioni di nessuno: né dei berlusconiani, né degli antiberlusconiani».
Sforzo vano. Le pance dei feroci anti-Cav restano a digiuno. Avrebbero voluto ingurgitare sbobbe d’odio nei confronti del «maiale di Arcore» invece gli 80 minuti di pellicola paiono una minestrina di critiche al premier. E dire che il film graffia. Ma lo fa soltanto con le unghie e non con gli artigli come invece pretendono le anime belle e brutali del partito del «Silvio a morte». Altro che «Forever».Tanta era l’eccitazione di tracannarsi un’ora e passa di scudisciate al Berlusca che, rimasta delusa, la sinistra processa gli autori con la rabbia di un coitus iterruptus: «Manca il contesto»; «Manca il Paese»; «Riferimenti blandi alla P2»; «E la mafia?». Non è bastato mettere insieme immagini e filmati in un collage che sbeffeggia il Cavaliere. Lui andrebbe demolito, non soltanto messo alla berlina. Eppure di schiaffi al Cavaliere il film è pieno. Parlano - ovviamente male - di lui, Montanelli che gli dà del «piazzista», Luttazzi e Travaglio, Dario Fo e Benigni, Grillo e Eco, Camilleri e Cornacchione. Si parla di quando aveva i calzoni corti e attaccava i manifesti della Dc, della sua giovinezza, dell’ascesa come imprenditore, dei primi successi in campo edile, del boom con le tv private, del Milan, della sua amicizia con Craxi, della discesa in campo, dello scazzo con Bossi, di Dell’Utri, dello scontro in aula con la Boccassini, di Piero Ricca che gli dà del «buffone», di Tartaglia che gli spacca la faccia con la statuetta del Duomo, di Veronica che lo sputtana a mezzo stampa. Si rivedono gli sketch-tormentone del web: lui al telefono e la Merkel in attesa, le barzellette, la bandana, Apicella, Noemi, il baciamano a Gheddafi; si risentono le telefonate con la D’Addario; si rammenta il passato della Carfagna e il presente della Minetti; si affonda il coltello nel bunga bunga.

Si riesuma perfino una vecchia intervista a mamma Rosa che giura: «Non si vedrà mai una fotografia di Silvio in giro con le donne...».
Tutto già visto, già sentito, già assimilato. Con una conferma, quella sì «Forever»: la sinistra scuoia chi non scuoia Silvio.

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