Sole e luce dappertutto. Persino nelle giornate di nebbia. Angelo Barabino, pittore tortonese di livello europeo, non poteva proprio farne a meno. Non si accontentava di dipingere il sole allalba, a mezzogiorno o al tramonto, ma lo infilava in ogni scena, tra gli alberi brulli dellinverno, sulle case cariche di neve, sui volti dei suoi personaggi, persino nelle scene drammatiche, come quella Dannazione, in cui Caino fugge dal cadavere riverso di Abele in «uno scenario infernale abbagliato di rossi», come scrive Raffaele De Grada.
Perché tanto sole? Perché, in quei tempi tra le due guerre, il sole rappresentava la speranza nel futuro, il «sole dellavvenire», che avrebbe riscattato lumanità dalle sofferenze e dai mali sociali. Il sole faceva parte della cultura politica (socialista) e pittorica e di questo grande e poco noto artista, formato allinizio del Novecento tra le tessere brillanti del divisionismo. A ricordarlo oggi è la città natale con una ricca e bella mostra («Angelo Barabino 1883-1950»), aperta sino al 12 marzo a Palazzo Guidobono di Tortona (catalogo Mazzotta). Circa settanta oli, in gran parte di collezioni private: paesaggi, figure, ritratti, scene cariche di forti sentimenti sociali.
Angelo, figlio di un produttore di formaggio, ultimo di otto fratelli e studente riottoso a Brera, aveva imparato molto da Pellizza da Volpedo, conosciuto tra il 1899 e il 1900. Divisionismo e simbolismo improntano infatti le prime opere, come Il Sole del 1907 o Rapina, che rappresenta coraggiosamente - per i tempi - una giovane donna dopo uno stupro. Il bozzetto con Lannegato del 1906 riprende con drammaticità un altro tema di Pellizza, ma lo tratta in maniera diversa, più accesa ed immediata. I soggetti sociali e famigliari sono sempre presenti, anche negli anni Venti-Quaranta, quando le forme si fanno più solide e taglienti, mantenendo intatto linteresse per la luce.
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