diIn un articolo pubblicato ieri su Repubblica intitolato «Frequenze televisive: lunga catena di errori» i commissari Agcom DAngelo, Lauria e Sortino dicono la loro su come si sarebbero svolte le cose nellAutorità per le garanzie nelle comunicazioni circa le vicende televisive. Poiché non mi rispecchio affatto nella loro versione dei fatti, ecco la mia replica.
A Cominciamo con il tanto contestato beauty contest sulle frequenze televisive. Sorvolo sul fatto che non tutti coloro che oggi sono così critici di questa scelta lo erano altrettanto nel 2009, dentro e fuori lAgcom. Mi soffermo invece sulla sostanza ricordando che allepoca prevaleva linteresse anche tra i gruppi editoriali tradizionalmente vicini alla sinistra. Se è vero del resto che senza frequenze non era possibile accedere al business televisivo, allora la circostanza che una barriera venisse rimossa rappresentava un significativo progresso. Non a caso Centro Europa 7, veterana delle battaglie per la concorrenza televisiva, ne ha approfittato presentando domanda alla gara. Oggi questo interesse pare venuto meno per taluni e non sta a me indagare perché, anche se qualcuno sospetta un po di malizia. Se poi oggi sono cambiate le condizioni, accertiamolo pure: si esplorino le alternative al beauty contest, ammesso che ve ne siano. Ma con due cautele: niente retropensieri di regolamenti di conti politici; e soprattutto senza gettare nel caos il digitale terrestre in un momento di delicata transizione. Sono ottimista? Per niente. Mi vengono i brividi quando leggo che sedicenti esperti au dessus de la melée invocano come rimedio di imporre ad alcune imprese patenti di dominanza o discriminazioni per decreto.
B Sostengono ancora i colleghi che il problema era a monte e cioè nel fatto che «si è deciso che quello pubblicitario non era un mercato rilevante». Il riferimento è al procedimento per la definizione dei mercati rilevanti del Sic che ha visto impegnata lAutorità per parecchi mesi. Le conclusioni dellistruttoria furono queste: esistono due mercati rilevanti ai fini del pluralismo: quello in chiaro e la pay tv. Un esito asseverato dalla stessa Commissione europea che nella decisione dellagosto 2010 sullammissione di Sky al beauty contest tracciava esattamente questa demarcazione. Ma questa conclusione aveva un torto. Quello di cozzare con la tesi a suo tempo espressa nel disegno di legge Gentiloni, secondo la quale il tetto alla pubblicità televisiva sarebbe la Delenda Carthago della democrazia, e con laltra teoria, sempre scaturita dalla stessa matrice politica, secondo cui il criptato (ossia Sky) sarebbe irrilevante ai fini del pluralismo. Dopo uno scontro in Consiglio che ha seguito fedelmente questa falsariga, il provvedimento è stato varato nella proposta dagli uffici che rispecchia la visione europea. Ora non è motivo di scandalo che un tema scottante e fortemente ideologico come quello delle posizioni dominanti televisive susciti contrapposizioni in un consiglio nel quale i componenti la pensano in modo diverso - vivaddio! Ma il punto di vista di una parte resta tale, senza poter ammantarsi di alcuna pretesa di superiorità etica o tecnica.
C Circa la questione della concentrazione Mediaset-Dmt, da poco autorizzata dallAntitrust, i colleghi lamentano tra le righe che lAgcom abbia concesso parere favorevole. Ebbene, in tutta la storia dellAgcom, su centinaia di pareri rilasciati allAgcom, non è mai accaduto che fosse dato riscontro negativo. E le occasioni non sarebbero mancate per smarcarsi anche in settori meno esposti ai riflettori, se il metro era quello di una intransigenza dogmatica.
*Commissario Agcom
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