«Su Bankitalia intervenga la Banca europea»

Adalberto Signore

da Roma

«Il governo non ha poteri, la Banca d’Italia è un’istituzione autonoma e indipendente, solo la Bce può intervenire». Silvio Berlusconi formalizza così, dopo giorni di polemiche, la posizione di Palazzo Chigi sulla querelle Bankitalia. L’esecutivo, questa la sostanza del ragionamento del premier, ha fatto quanto poteva nel Consiglio dei ministri della settimana scorsa approvando la riforma di via Nazionale e proponendola al Parlamento. Ora, «non deve fare altri atti». Ed è pure per questa ragione che nel Consiglio dei ministri di ieri - assente il ministro dell’Economia Domenico Siniscalco, a Manchester per l’Ecofin - la questione Fazio non sarebbe stata «neppure sfiorata».
La linea scelta da Berlusconi è il risultato di giorni e giorni di consultazioni, da quelle di Arcore con la Lega a quelle del Quirinale tra Gianni Letta e Carlo Azeglio Ciampi. Da tutti gli incontri, infatti, è emersa l’impossibilità tecnica per l’esecutivo di porre in essere passi formali nei confronti del governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. Insomma, come aveva detto qualche giorno fa il vicepremier Giulio Tremonti, «oltre la moral suasion non possiamo andare». Sul fronte Palazzo Chigi, dunque, la partita sembra davvero chiusa, con buona soddisfazione della Lega, da sempre schierata in difesa del numero uno di via Nazionale, vittima - secondo Umberto Bossi e lo stato maggiore del Carroccio - di «un’operazione costruita a tavolino» grazie all’uso «criminale delle intercettazioni».
La palla passa quindi alle Camere che dovranno occuparsi dell’emendamento al ddl risparmio approvato dal governo (emendamento che riforma lo statuto della Banca d’Italia). Sull’ipotesi che il Parlamento decida di pronunciarsi sul caso Fazio con una mozione, Berlusconi preferisce non entrare nel merito. «Nell’ambito della sua autonomia - dice il premier al termine del Consiglio dei ministri - il Parlamento può intervenire ed esprimere un giudizio che potrà essere importante». E ai giornalisti che gli chiedono se la sua posizione sia in linea con quella del vicepremier Gianfranco Fini (che nei giorni scorsi ha parlato di «dovere istituzionale di dimettersi»), Berlusconi si limita a poche parole. «Su questo argomento - dice entrando in macchina - ho già detto quel che dovevo dire». Chi davvero può intervenire sul governatore, insomma, non è l’esecutivo ma «la Banca centrale europea», perché Palazzo Koch «è un istituto autonomo».
Poi Berlusconi prende spunto dall’approvazione del disegno di legge sulle intercettazioni per sottolineare come il suo governo abbia sempre «tutelato la libertà dei cittadini». E, in chiara polemica con l’opposizione, aggiunge: «Non ho mai insultato o rubato, così come non ho mai fatto merchant bank... Tutti fatti che possono convincere i cittadini a concedermi nuovamente la fiducia alle prossime elezioni». Dai miei avversari - dice il premier - sono arrivati solo «insulti», mentre su nessun organo di stampa è mai stato «trovato» un mio insulto verso esponenti dell’opposizione.
Chiuso il capitolo Bankitalia, Berlusconi affronta pure il nuovo testo di riforma sulle intercettazioni, il nodo della legge elettorale e l’intesa tra la Fiat e la Ford («tutto ciò che può aiutare la Fiat a riportare i conti in attivo va valutato positivamente»).
Berlusconi e Letta hanno poi voluto mettere la parola fine sulle polemiche che hanno coinvolto il commissario straordinario della Croce rossa Maurizio Scelli e sui retroscena inediti del rapimento delle due Simone in Irak. Così, in tarda mattinata, durante l’incontro alla Protezione Civile con il neoambasciatore degli Stati Uniti (che ha ringraziato il governo italiano per il tempestivo aiuto a New Orleans), il premier ha ringraziato la Croce rossa «e in particolare il dottor Scelli che ha sempre lavorato in modo esemplare».

«Il governo - aggiunge il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio - non ha mai avuto la volontà di negare notizie agli alleati e agli altri soggetti con i quali il rapporto è sempre stato chiaro, leale e trasparente».

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