Uno su due finisce al pronto soccorso

Dove vanno a finire gli scarti di cucina che i genovesi diligenti raccolgono e gettano nei cassonetti dell’umido? Per il momento non solo non ci fanno guadagnare, ma ci fanno spendere. E pure tanto, visto che, in mancanza di un impianto per il compostaggio a Genova, tali rifiuti organici vengono venduti da Amiu ad Alessandria per 90 euro a tonnellata, che diventano 100 con le spese di trasporto. Ne produciamo 8 mila e dunque spendiamo 800mila euro all’anno per smaltirli fuori dalla nostra Provincia. Costi sostenuti da Amiu e che dunque ricadono sulle tasche dei cittadini. Che così oltre a fare la fatica di differenziare, spendono anche.
Perché allora non rendere l’umido fonte di guadagno a Genova invece di pagare per smaltirlo? Perché in ben due mandati di governo la Provincia guidata dalla giunta di centrosinistra targata Alessandro Repetto (dal 2003 al 2012) non è riuscita a vedere realizzato il piano provinciale dei rifiuti che prevedeva la realizzazione di impianti per il compostaggio a Genova e in altri comuni, almeno cinque della Provincia. Secondo le previsioni l’impianto di trattamento dovrebbe essere dedicato all’umido al fine di produrre un compost di alta qualità da usare come fertilizzante anche per i giardini e le aree verdi della città.
L’unico impianto che esisteva a Genova, quello della Valvarenna in località Chiesino di Carpenara, è chiuso dall’ottobre del 2010, da quando l’alluvione ha devastato la valle del ponente genovese rendendo l’impianto di fatto inagibile. Perché non riparare i danni? Secondo il Comune sarebbe stato antieconomico. Ma solo perché a Tursi si pensava che in tempi brevi si sarebbe realizzato qualcosa a Genova. Invece è passato oltre un anno, sta per cambiare il governo del Comune e non è stato messo nemmeno un mattone. E anche il progetto è lungi da venire.
«Non era logico rimettere in funzione l’impianto della Valvarenna - è il giudizio di Pietro D’Alema, amministratore delegato di Amiu - perché era comunque troppo piccolo e poteva lavorare solo 8mila tonnellate l’anno». Esattamente quelle, però, che adesso vengono trasportate ad Alessandria e per le quali si spende una cifra considerevole ogni anno.
Inoltre la frazione dell’umido dei rifiuti, quella organica prodotta dagli scarti di cucina, è anche quella che pesa di più. «E se vogliamo alzare la quota di raccolta differenziata dobbiamo alzare la quota dell’umido», ammette D’Alema, che vuol giocare la partita della differenziata proprio sull’organico portandolo dalle attuali 8mila a 30mila tonnellate all’anno.
Allora i casi sono due. O restiamo alla quota attuale del 32 per cento di differenziata, e non aumentiamo le 8mila tonnellate di umido che vengono raccolte oggi: in questo caso continueremo a pagare la sanzione che la Regione applica alle tonnellate di spazzatura che vengono conferite ogni anno a Scarpino.


Oppure alziamo la quota di umido magari fino a 30mila tonnellate, che dovremo alla fine trasportare ad Alessandria o da qualche altra parte pagando lo stesso e moltissimo.
Comunque vada pagheremo. E tutto ciò nonostante lo sforzo di uscire di casa con tre o quattro sacchetti per volta facendo magari anche della strada in più da bravi cittadini che onorano la raccolta differenziata.

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