Sua eccellenza il mascarpone

Dubito che vi sia chi ancora lo chiama mascherpone, però un tempo era questo il termine esatto per indicare quella sublime delizia a tutta sensualità che oggi chiamiamo mascarpone. Da mascherpa, ricotta in dialetto lodigiano, lasciando stare la banda della mascherpa che rievoca la banda dell’Ortica cantata da Jannacci, quella con un orbo che faceva il palo, non vedeva gli sbirri arrivare e tutti finivano in gattabuia.
Bandito da ogni dieta per il suo tasso di grassi, è l’anima di due capolavori come la torta con zola e noci, una preparazione molto milanese, e come il tiramisù, una delle tante bontà che noi italiani abbiamo donato al mondo (come in precedenza i trevigiani fecero nei confronti dell’Italia). È tutto strano il mascarpone, elegantemente bianco, pronto a stancarsi come gli stracchini più sinceri e a sedersi, ma senza allargarsi a dismisura. La cosa più singolare è che, per quanto sia venduto nel reparto formaggi e latticini, il mascarpone non è un formaggio e nemmeno una crema e tanto meno un burro. Non è un formaggio, anche se molti lo credono, perché non subisce la cagliata e nemmeno un burro perché siamo ben lontani dall’affioramento a freddo.
Un mattina in clima natalizio nel ventre di Peck, in via Spadari a Milano, per seguire le varie fasi di preparazione con l’acquolina a mille perché più si guarda e più si sogna. Ottantadue gradi, tutto ruota attorno a questa temperatura, temperatura alla quale vengono portati 80 litri di panna fresca, quella che si solito viene montata, tasso di materia grassa 35%. Zero ebollizione, giusto uno schiumare minimo, silenzioso, la superficie solcata da bolle e l’acido citrico (e non il succo di limone che non è controllabile a livello di dosi) in una ciotola per versarlo secondo arte al momento giusto. Il mascarpone nasce così, in tre quarti d’ora il primo passo, il big bang. Il resto è fatica dell’uomo, ma anche appagante perché dall’interrato di Peck escono le basi di tanto lavoro a livello di gastronomia. Giovedì mattina ad esempio, le salsicce, con l’impasto lavorato dal titolare, Angelo Stoppani, cavaliere del lavoro che non stacca mai dalla sua creatura, e le torte a base mascarpone che richiedono tanta pazienza. «Alla tradizione appartiene la torta allo zola, tutte le altre sono lavorazioni nostre, create nel tempo».
In queste settimane siamo a 160 litri di panna lavorata ogni giorno per una resa finale inferiore di circa un 35% perché una volta estratta dalla caldaia, la massa, avvolta in un telo di cotone, viene messa in una cella frigorifera a sgrondare per 48 ore. All’apertura dello stanzino, uno come me, che si farebbe spatolare di mascarpone, rischia i capogiri. Il lavoro è tale ora, con nella cella il trionfo di questo non-formaggio. Le torte, comprese quelle di robiola, saranno spedite soprattutto in Germania, Austria, Giappone, Inghilterra e Stati Uniti, a volte pure in Francia e Spagna. Al basilico piuttosto che noci, tartufo bianco (sesso puro), pistacchi, zola piccante, nocciole.
«Ogni volta - afferma l’addetto, mano sicura e occhio attento anche ai roastbeef -, è come se componessimo un mosaico». Impossibile dargli torto. Per la torta di noci si parte da uno stampo con base di mascarpone e sul piano di lavoro tre formaggi di larga produzione e consumo, brie, bel paese e taleggio, privati della buccia («È un lavoraccio, si usano coltellini e spazzole») e tagliati a strisce grossolane. La precisione, che un giapponese magari cercherebbe se fosse una elaborazione della sua cucina, sembra non contare. I dettagli sfumano, conta l’armonia gustativa d’insieme una volta che tutto sarà pronto.
Dunque, mascarpone, poi i tre formaggi spezzettati con le mani, quindi le noci e ancora mascarpone. Il tutto due volte, con una generosa spatolata conclusiva di mascarpone che, al contrario, nei passaggi intermedi serve soprattutto da «collante». A copertura ultimata, la millestrati viene richiusa in carta da alimenti, messa sotto pressione (leggera) e riposta in cella per sei ore perché tutte le tessere golose si amalgamino a puntino, accortezza che per le altre preparazioni sale a mezza giornata. Però la nocciolina, un disco di brie tagliato per il lungo come un focaccia, farcito con mascarpone e nocciole e ricoperto con gli stessi ingredienti, viene portato subito in vetrina.
Ci sono le regole e ci sono le eccezioni.

Una regola, ad esempio, sposa la dolcezza, con retrogusto acidulo, del mascarpone, al pandoro e alla mostarda, un’eccezione alla carbonara nella quale sostituisce la panna, idea molto polentona e ben poco romana. Ma piace.

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