«Il successo di questo summit manda l’opposizione in coma»

RomaMinistro Prestigiacomo, è pressoché unanime il giudizio positivo sull’esito del G8 aquilano. Ma è stato davvero un successo per il nostro Paese?
«È stato un successo politico ed organizzativo di enorme portata. Siamo stati per tre giorni sotto gli occhi dell’opinione pubblica mondiale e al mondo abbiamo mostrato un pezzo di Italia, bellissima e ferita dal terremoto. Un Paese che ha saputo dimostrare tutta la sua efficienza, forza e generosità, accogliendo con grandissima professionalità, proprio laddove la ferita è ancora aperta, tutti i Grandi della terra con i leader dei Paesi in via di sviluppo, ed i leader africani. In un vertice che ha fatto segnare passi avanti strategici su tutti i temi che erano sul tappeto. Un trionfo politico e di immagine».
Eppure, in Italia, così come all’estero, c’era pure chi sperava in un passo falso, magari finale, del presidente del Consiglio. Che sembra invece esserne uscito rafforzato.
«È vero ed è davvero penoso pensare che c’è stato chi ha “gufato” contro il successo del G8. Silvio Berlusconi - come tutti i leader presenti hanno ribadito a più riprese - ha avuto un ruolo fondamentale nel successo politico del vertice ed è stato un padrone di casa eccezionale. Trovo veramente spregevole auspicare il fallimento di una riunione importantissima per il pianeta per squallidi interessi di bottega politica».
Se non ci sono state scosse per il premier, chi è rimasto allora sotto le macerie?
«Tutti coloro i quali, per settimane prima del G8, hanno dipinto l’Italia come una sorta di terzo mondo politico, gettando fango sul nostro Paese e sul suo leader. Oggi dovrebbero provare vergogna ed ammettere di non aver capito niente. Ma dubito lo faranno».
Tra i catastrofisti, chi inserirebbe? Stampa estera, «Repubblica», opposizione...?
«Non mi piacciono le generalizzazioni, ma certamente c’è stata una parte della stampa estera, con evidenti suggeritori nazionali, che ha clamorosamente preso fischi per fiaschi. Hanno dovuto prendere atto che ad Obama, Brown, Sarkozy e Merkel, non interessa ciò che loro scrivono e fanno scrivere e considerano Berlusconi un leader mondiale. L’opposizione mi sembra francamente in coma dépassé...».
A metterci il «carico» ci ha pensato intanto Antonio Di Pietro, che ha acquistato una pagina sull’«International Herald Tribune» per lanciare il suo appello anti-governativo.
«Di Pietro sta facendo la sua campagna elettorale all’interno del centrosinistra per mangiarsi altre fette di Pd e non bada né agli interessi del Paese né a spese. Né tantomeno si pone il problema di disprezzare l’Italia all’estero».
Sembra di capire che qualcuno debba chiedere scusa.
«Quelli abituati a ritenere di aver ragione a prescindere dai fatti, dall’opinione pubblica, dai risultati elettorali, dimostrano un’arroganza profonda ed un profondissimo disprezzo della democrazia. Le scuse non fanno parte del loro bagaglio culturale».
Al di là del giudizio politico, quanto hanno influito sull’esito del vertice la presenza e l'impegno di Barack Obama?
«La presenza, lo straordinario attivismo, il positivo protagonismo di Obama su tutti i temi cruciali è stato senza dubbio decisivo per il successo del vertice. Un Obama che ha trovato nell’Italia ed in Berlusconi un partner ideale per la sua strategia di cambiamento».
Quali sono stati, secondo lei, gli obiettivi più importanti raggiunti?
«Io dico l’intesa sui cambiamenti climatici, forse perché seguendo da un anno in prima persona questa partita, so quanto fondamentale sia l’accordo raggiunto all’Aquila. Nel summit non s’è deciso solo un impegno dei maggiori Paesi del pianeta, G8 ed emergenti, per limitare le conseguenze dell’effetto sera, mantenendo l’incremento della temperatura sotto i 2 gradi e fissando target stringenti per i Paesi industrializzati».
E cos’altro s’è deciso d’importante?
«In realtà, si sono gettate le basi per un nuovo modello di sviluppo mondiale che consentirà ai Paesi poveri ed agli emergenti di crescere e perseguire il benessere dei propri abitanti procurandosi energia con tecnologie a basso contenuto di carbonio. È stata in pratica posta la base per affrontare in un modo nuovo e positivo il rapporto fra nord e sud del mondo».
Non crede però che l’impegno sulla riduzione dei gas serra del 50%, entro il 2050, sia un po’ troppo a lunga scadenza?
«È evidente che dovranno esserci degli step intermedi. Dobbiamo cominciare a lavorare da subito. L’Europa ha già assunto i suoi impegni al 2020. Ma questo è oggetto della trattativa che proseguirà - ora con nuovo slancio - in vista della conferenza Onu di Copenaghen».
Quali sono i margini per far tornare Cina e India sui loro passi?
«Cina e India non devono tornare sui propri passi, ma proseguire nel cammino intrapreso. Impegnarsi sul limite di 2 gradi di incremento delle temperature è stato già un grandissimo passo avanti. Significa l’impegno a mantenere la percentuale di Co2 nell’atmosfera entro un certo limite.

Adesso, fino a dicembre, si tratterà sugli investimenti, sulla comparabilità degli sforzi nazionali (che la Cina ad esempio sta già facendo) per la riduzione delle emissioni, sui target differenziati. È una trattativa complessa. Ma oggi si può, l’intesa è possibile».

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