Opinione pubblica scatenata, accuse roventi, facili moralismi e critiche impietose sui giornali. E poi, e di più, noi italiani popolo di commissari tecnici ma anche di team manager a sguazzare in questo mare di «non se ne può più, si faccia cosà e si faccia così».
Oggi come sessant’anni fa, a far pendere la bilancia a favore di Giancarlo Fisichella da Roma o di Robert Kubica da Cracovia (Maranello lì dà al 50 e 50 anche se per noi Fisico resta avvantaggiato), è una questione di soldi, di accordi fra scuderie (Force India e Bmw) però anche una valutazione a livello sociale e di costume viste le potenziali derive (e questa è l’unica nota dolente per il romano). Perché l’imprevisto in pista resta e il calvario di Felipe Massa è lì a dimostrarlo, ma in questi decenni le corse sono davvero cambiate. Più sicurezza, più organizzazione, più tutto. Non è invece cambiata l’attenzione della Ferrari per gli umori dell’opinione pubblica. Oggi come sessant’anni fa, Maranello deve sempre fare i conti con ciò che potrebbero dire, pensare, ritenere i milioni di tifosi e, purtroppo, anche quelle decine di fan nascosti fra i seggi parlamentari che in un paio di dichiarazioni sono in grado di sollevare autentici polveroni. Per questo lo scrutinio del ballottaggio tra Fisichella e Kubica è durato tutta la giornata ed è slittato a oggi. Un esempio aiuterà a capire quali altre possibili valutazioni il presidente Luca di Montezemolo e il general manager Stefano Domenicali sono comunque costretti a fare, indipendentemente dalle questioni finanziarie (la Force India ha sicuramente alzato il prezzo e a Kubica non bastano cinque gare, vuole un’opzione per il 2011, ndr). Fisichella è infatti il candidato perfetto, veloce e a fine carriera che non complicherebbe il rientro di Massa nel 2010. Però se Fisichella, dal Gp d’Italia fino al termine della stagione, dovesse disputare gare da urlo, magari sempre a podio, magari vincendo spesso, immaginatevi quale sollevazione nazional motoristico-popolare si scatenerebbe non appena la Rossa dovesse comunicare il ritorno del brasiliano e il pensionamento del romano.
Sessanta, cinquanta e quarant’anni fa non erano problemi di vitalizio bensì crude e tragiche ragioni quelle che portarono Enzo Ferrari a chiudere per la prima volta la porta ai nostri ragazzi (vedere il bel ricordo del nostro Benzing, ndr). Però la sostanza, negli anni, salvo eccezioni, non è cambiata. La Rossa disse no al pilota di casa dopo la drammatica Mille Miglia del ’57, quando lo spagnolo Alfonso De Portago perse il controllo della sua Ferrari e piombò tra il pubblico provocando una strage. Enzo Ferrari fu subito duramente attaccato dall’opinione pubblica e non solo. Pochi mesi prima era morto un altro suo pilota, Eugenio Castellotti, salito alla ribalta per il coraggio in pista e la storia d’amore con la soubrette Delia Scala. L’anno dopo toccò a uno dei più talentuosi italiani, Luigi Musso, tradito durante il Gp di Francia, a Reims.
La F1 dell’epoca era fatta di giovani, coraggiosi e incoscienti cavalieri del rischio. La morte si sfiorava tutti i giorni e spesso assumeva contorni epici. Enzo Ferrari, da ex pilota, non era prevenuto verso i connazionali, tutt’altro. L’unico nostro rappresentante campione del mondo su una Ferrari resta ancora il primo pilota di punta scelto dal Drake: Alberto Ascari. Ma pensate l’opinione pubblica di allora, quando il grande milanese morì a Monza, durante dei test. Era ormai un pilota Lancia, aveva rischiato pochi giorni prima a Montecarlo, finendo in mare, e quel giorno del ’55, era andato a trovare l’amico Castellotti nel circuito del parco. Decise di provare la sua Ferrari e, lui scaramantico che non correva mai senza la sua maglia e il suo casco, si fece imprestare l’occorrente da Castellotti. Al terzo giro se ne andò per sempre. Pensate: aveva 37 anni come quando morì suo padre, ex pilota, e si schiantò lo stesso giorno: il 26.
Questo per dire che F1 era quella e per dire che ogni dramma assumeva toni esponenziali che mobilitavano tutta Italia. Enzo Ferrari in un paio di anni perse su una sua auto il grande italiano e poi gli altri giovani. Dall’inizio del mondiale, nel 1950, fino alla tragedia di Musso, nel ’58, avevano corso sul Cavallino, in F1, 12 piloti. Maranello riaprì le porte solo nel ’61, ma d’allora lo fece con il contagocce. Fino all’ultima, sfortunata, esperienza di Badoer, Luca compreso, i piloti nostrani in Rosso sono infatti stati solo 13. L’ultimo a vincere? Il povero Michele Alboreto, nel 1985, stagione in cui concluse il mondiale secondo, alle spalle di Alain Prost. L’ultimo ad essere scelto dal Drake in persona? Arturo Merzario, nel ’72, che poi deluse e tradì le aspettative dell’Ingegnere.
Forza Fisico, anche se a Maranello dicono che tu e Robert ve la giocate 50 e 50, tutta Italia è con te.
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