Sul Libano l’incubo della guerra civile Il presidente vuol sloggiare il governo

Emile Lahoud, amico della Siria, pronto a sostituire con un decreto il premier Siniora

Il pozzo della nuova guerra civile è già aperto e il Libano si prepara al grande salto. Il primo a spingerlo verso l’abisso è il suo presidente, il filosiriano Emile Lahoud. Il suo mandato finirà il 24 novembre, ma il grande protetto di Damasco, il fossile dell’era dell’occupazione, ha già un piano per riportare il Paese nell’alveo della grande madre siriana. Se, come lasciano intendere i numeri, il governo del premier Fouad Siniora non riuscirà a eleggere un suo candidato, Lahoud lo sostituirà per decreto con un esecutivo provvisorio presieduto dal capo di stato maggiore Michael Suleiman.
«Ho già proposto la nomina di un governo di transizione comandato dal capo di stato maggiore generale Michael Suleiman e composto da sei o sette ministri civili – ha reso noto il presidente -. Spetterà a quell’esecutivo redigere una nuova legge elettorale, preparare nuove elezioni parlamentari e aprire la strada alla nomina del nuovo presidente». La mossa equivale a un vero e proprio golpe e rischia di creare i presupposti di una nuova guerra civile, ma il presidente non sembra preoccuparsene troppo. Per lui il governo del premier Siniora, nominato dalla coalizione antisiriana vincitrice delle elezioni del giugno 2005, è «semplicemente inesistente e incostituzionale».
Il piano del presidente scatterà dopo il 25 settembre quando il Parlamento sarà chiamato a votare per eleggere entro novembre il suo successore. Tutti sanno che la scadenza è puramente teorica, perché i numeri non permettono la nomina di nessun candidato. Il governo Siniora deve infatti far i conti con una maggioranza di appena 69 seggi su 128, ben lontana da quel quorum di due terzi dei voti richiesto dalla Costituzione. E, come se non bastasse, deve guardarsi dalle trappole del presidente del Parlamento Nabih Berri, un altro fedelissimo di Damasco pronto ad assecondare tutte le mosse della presidenza.
Il cavillo utilizzato da Lahoud e Berri per proclamare l’incostituzionalità del governo è sempre lo stesso, ovvero l’assenza nell’esecutivo di una rappresentanza sciita. Lo scorso novembre, dopo aver ritirato i loro sei ministri, i capi di Hezbollah e delle altre fazioni filosiriane pretesero di rientrarvi con una rappresentanza pari a un terzo dell’esecutivo. Quel quorum avrebbe loro garantito il diritto, in base alla Costituzione, di imporre il veto su qualsiasi decisione governativa. Dopo il niet di Siniora, Hezbollah mandò i suoi militanti a paralizzare la capitale e Nabih Berri impedì qualsiasi riunione del Parlamento.


Le manovre del blocco filosiriano puntavano a impedire la ratifica in Parlamento del decreto governativo che affidava ad una corte internazionale l’incarico di perseguire i colpevoli del delitto Hariri. Ora il prossimo obbiettivo degli alleati di Damasco è bloccare l’elezione di un presidente capace di metter fine alla paralisi istituzionale. E per farlo non esiteranno a trascinare il Paese alla guerra civile.

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