Politica

Sul mondo dell’economia cala il pessimismo

I piccoli imprenditori tentati di trasferire le loro attività in Polonia, Repubblica Ceca o in Austria, dove il fisco è più leggero

Marcello Foa

nostro inviato a Berlino

Per una volta sono d'accordo tutti: le banche, i grandi gruppi industriali, l'associazione delle piccole e medie imprese. La Grosse Koalition tra i due grandi partiti tedeschi, la Cdu e l'Spd, rischia di peggiorare la situazione economica della Germania. Il mondo economico e soprattutto quello finanziario alla vigilia del voto puntavano su una vittoria del centrodestra o perlomeno confidavano su un'affermazione netta della Cdu sui socialdemocratici. Non hanno ottenuto né l'una né l'altra, perché Angela Merkel è uscita inaspettatamente ridimensionata dalle elezioni e potendo contare su un vantaggio di soli tre seggi non potrà fare la voce grossa. «In queste condizioni per i prossimi anni sarà difficile governare la Germania - afferma Jürgen Thumann, presidente della federazione degli industriali Bdi -, e questo è molto negativo per il mondo degli affari». «La Germania ha deciso di non decidere - gli fa eco Jörg Kramer, economista capo del gruppo Hvb -. Il nuovo esecutivo non farà quasi nulla, certo non le riforme necessarie per ristrutturare e rilanciare l'economia del Paese».
E a pagare il prezzo più altro potrebbero essere i piccoli e i medi imprenditori; quelle forze fresche e dinamiche su cui i cristianodemocratici e i liberali puntavano per rilanciare il Paese. «Sono molto preoccupato - dichiara al Giornale Gerd Habermann, il direttore dell'Istituto di ricerca dell'Asu, la principale associazione di categoria: i suoi cinquemila iscritti impiegano oltre 1,7 milioni di lavoratori e generano un giro di affari annuale di 100 miliardi di euro -. È molto probabile che molti di loro decidano di trasferirsi all'estero. È un fenomeno che è iniziato qualche anno fa e che ora rischia di assumere proporzioni importanti».
D'altronde, perché continuare a stare in Germania a costi proibitivi? La vicinanza con la Repubblica Ceca, la Polonia o la Slovacchia favorisce il pendolarismo degli imprenditori: la famiglia di qua, le attività produttive di là. Una o due ore di macchina o di treno; si può fare. Persino l'Austria è diventata una meta apprezzata: molte aziende trasferiscono lì la propria sede attratti da un fisco molto più favorevole di quello tedesco.
«Noi da tempo ci battiamo per le riforme - continua Habermann -. Abbiamo toccato livelli insostenibili. Pensi che oggi un lavoratore altamente qualificato vede sottratti due terzi dello stipendio: se guadagna 3000 euro al mese, 2000 gli vengono prelevati tra tasse e contributi sociali. È vero che riceve in cambio molti benefici assistenziali, ma questo sistema non regge più in un regime di concorrenza come quello europeo».
Il professor Habermann, che è anche presidente della Fondazione Von Hayek, estrae dalla borsa un opuscolo e mostra dati impressionanti: nel 1969 l'assistenza sociale costava allo Stato 87 miliardi di euro; nel 1980 230 miliardi; nel 1990, prima della riunificazione tra le due Germanie, 300 miliardi; oggi 732 miliardi. E ancora: 58 milioni di tedeschi, su una popolazione complessiva di 82 milioni, ricevono sussidi o rendite statali.
«Così non può andare avanti», commenta il direttore dell'istituto di ricerca dell'Associazione delle piccole e medie imprese. E delinea la crisi in cui rischia di cadere ora il Paese: se le aziende si trasferiscono all'estero, la disoccupazione sale, dunque aumentano le spese a carico dello Stato, la crescita economica rallenta, lo Stato non taglia le tasse o addirittura le aumenta, altri imprenditori lasciano il Paese, e così via. Una spirale. «Ecco perché la deregolamentazione è tanto importante», spiega Habermann, che rivela un fenomeno per noi italiani consueto, ma che fino a qualche anno fa era marginale a queste latitudini: quello dell'economia sommersa. «Oggi in Germania il lavoro nero rappresenta il 17% del Pil. Certo, meno che da voi, ma più che in Svizzera, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti». Oggi anche per i tedeschi non è infrequente sentirsi chiedere, dagli artigiani o dagli elettricisti, se si voglia la fattura o no. Nel primo caso il prezzo sale almeno del 20%. E siccome tutti tendono a risparmiare, gli accordi «amichevoli» aumentano. Berlino come Roma.
Anche Habermann non crede che un governo di compromesso tra la Cdu e i socialdemocratici possa avere la forza - e la volontà - necessarie per attaccare i mali strutturali. Di certo le riforme avviate tre anni fa da Schröder nell'ambito del piano Agenda 2010 appaiono insufficienti. Ci vuole altro per rilanciare il più grande Paese d'Europa.
marcello.

foa@ilgiornale.it

Commenti