Dalla Topolino al Suv dell’Alfa Romeo e alle Jeep americane: la storia di Mirafiori continua, più internazionale che mai. Ma la svolta in chiave «Fabbrica Italia», voluta da John Elkann e Sergio Marchionne, è stata dura, molto dura: 30 giorni sul filo del rasoio, tra tavoli, polemiche e timori. La Fiat lascia Torino? Marchionne si è stufato del «tira e molla»? Poi lo sblocco della trattativa, ieri, nonostante il no di una Fiom sempre più isolata e alla deriva, e grazie alla compattezza e lungimiranza degli altri sindacati metalmeccanici: Fim, Uilm, Fismic e Ugl (l’intesa sull’impianto - secondo quest’ultima sigla - «porterà lavoro e serenità»).
È un accordo storico quello sottoscritto a Torino, «un gran bel momento - ha commentato l’amministratore delegato del Lingotto - per tutti quelli che hanno faticato per raggiungerlo, ma soprattutto per i lavoratori e per il futuro dello stabilimento; è una grande opportunità e il miglior regalo di Natale che potessimo fare alle nostre persone».
Mirafiori, dunque, incasserà il miliardo di euro in investimenti promessi dal gruppo e, cosa più importante, «potrà compiere un salto di qualità - come ha spiegato Marchionne - e farsi apprezzare nel mondo, diventando un esempio unico in Italia di impegno condiviso da un costruttore di automobili estero come la Chrysler». È la ricaduta importante, la prima concreta nel nostro Paese, dell’alleanza tra Torino e Detroit. In attesa del referendum tra i dipendenti di Mirafiori previsto dal 10 gennaio, le parti lavoreranno ora «per realizzare il contratto collettivo specifico per la joint venture - ha aggiunto il top manager - che consentirà il passaggio dei lavoratori alla nuova società Fiat-Chrysler. E per quanto ci riguarda, faremo partire gli investimenti nel minor tempo possibile».
Il piano condiviso dalla maggioranza dei sindacati consiste in dieci punti e porterà alla produzione, a regime, di 280mila vetture l’anno tra Suv targati Jeep e Alfa Romeo. Mirafiori, dunque, si fregerà di una piattaforma italo-americana. Intesa anche sul pieno utilizzo degli impianti su sei giorni lavorativi e sul lavoro a turni avvicendati che mantiene l’orario individuale a 40 ore settimanali. La busta paga sarà più pesante, con la crescita del reddito annuo individuale di circa 3.700 euro grazie agli effetti dell’incidenza delle maggiorazioni di turno. Il 18esimo turno, poi, sarà operativo solo con il pagamento dello straordinario. Per la mensa, la pausa sarà mantenuta nel turno fino a che la joint venture non andrà a regime. Lo spinoso capitolo delle assenze è stato risolto così: salvaguardia dei malati reali e intervento volto a colpire gli assenteisti, al fine di tutelare coloro che hanno assiduità e puntualità nella prestazione.
È prevista anche la compensazione di oltre 32 euro mensili per l’assorbimento della pausa di 10 minuti, resa possibile dal minore affaticamento del lavoro con l’introduzione della nuova ergonomia. Tema importante è il mantenimento di tutti i diritti individuali oggi esistenti e il loro miglioramento attraverso la prossima stesura di un Contratto collettivo, su molti punti migliorativo del Contratto nazionale (scatti di anzianità, paga base, premio di risultato, ecc.). Ma tutto questo, per il leader della Fiom, Maurizio Landini, «è vergognoso».
Ora Marchionne, in attesa di affrontare da gennaio il round Cassino, può pensare con più tranquillità alla scissione del gruppo, in vigore dal 3 gennaio.
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