Politica

«Sulla chiusura dei lager ci sfideremo alle primarie»

«L’alleanza è in fibrillazione a causa delle continue spinte dei cosiddetti riformisti. Per risolvere il rebus facciamo votare gli elettori anche sul programma»

Laura Cesaretti

da Roma

«Il centrosinistra deve avere finalmente il coraggio di riconoscere che sui Cpt la legge Turco-Napolitano ha fallito, e ha costruito una mostruosità giuridica, un abbaglio costituzionale e culturale».
Paolo Cento, numero due dei Verdi, spara a zero contro i centri di detenzione degli immigrati clandestini istituiti dai governi ulivisti. E accusa chi nella sua coalizione «non riconosce che lì si perpetra una violazione dei diritti umani: c’è anche a sinistra una cultura con venature autoritaristiche, che viene a galla di fronte alle emergenze sociali».
Onorevole Cento, Piero Fassino dice che sarebbe un errore chiudere i centri, perché la loro esistenza è una delle condizioni per mantenere la libera circolazione prevista dagli accordi di Schengen.
«Non è affatto vero che il mantenimento di Schengen dipende dall’esistenza dei Cpt: il trattato impone l’obbligo di identificazione per gli immigrati clandestini, non la detenzione. E comunque mi allarma molto quello che si sta verificando dentro il centrosinistra: il no ai Centri-lager sembrava un dato acquisito, dopo il documento sottoscritto da dodici presidenti di Regione dell’Unione. E invece c’è un martellamento di interventi di dirigenti della coalizione che sostengono che è un errore chiuderli».
Difendono una legge del centrosinistra: cosa la mette in allarme?
«Il fatto che dentro l’Unione si moltiplichino spinte politicamente legittime, ma che rischiano di mettere in fibrillazione l’intero centrosinistra. E guarda caso arrivano sempre dalla parte moderata, i cosiddetti riformisti: prima sull’immigrazione, poi sull’Irak, prossimamente sulle leggi antiterrorismo si mettono in discussione dati acquisiti, e si finisce per creare un problema serio di unità della coalizione».
Veramente i riformisti ribaltano l’accusa su voi “radicali”, che avete votato contro le missioni internazionali decise dai governi dell’Ulivo. Chi è che rompe l’unità?
«Noi siamo coerenti: abbiamo detto che sulle missioni in Darfour e a Timor Est avremmo detto sì, se fossero state disgiunte dal voto sul Kosovo e l’Afghanistan. Perché le prime due nascevano da decisioni Onu, avevano un pieno mandato internazionale e le altre invece no».
Ma se andate avanti così, il centrosinistra non riuscirà mai ad avere una posizione in politica estera. Come si risolve questo rebus?
«È un rebus insolubile, a meno che non si decida di imboccare l’unica strada possibile: trasformare le primarie personalistiche sulla leadership di Prodi in primarie programmatiche. Insieme ai candidati, facciamo votare ai cittadini sì o no su alcuni punti precisi: volete il ritiro dall’Irak, sì o no? Volete la chiusura dei Cpt, sì o no? Per parte nostra, noi saremmo prontissimi ad adeguarci al verdetto degli elettori, che costituirebbe un vero “principio di maggioranza”. E così le primarie diventerebbero una cosa seria».
Ma non servono proprio a dare legittimità alla leadership di Prodi?
«Se non sono legate al programma, a scelte chiare su punti chiari, non daranno a Prodi la legittimità per decidere a nome di tutta la coalizione. Averle legate solo alla leadership le rende monche».
Sulla presenza italiana in Irak non ha cambiato opinione neppure dopo la visita ai nostri soldati a Nassirya?
«Abbiamo avuto un colloquio sereno e utile: sono loro stessi ad auspicare un capovolgimento di priorità della missione, rafforzandone gli aspetti umanitari. Non sono per gli estremismi sciocchi, è chiaro che in quel caso ci sarebbe una sorta di riduzione del danno, rispetto alla situazione attuale di inadeguatezza agli scopi umanitari».
Però continua a chiedere il ritiro delle truppe...
«Intendiamoci sul ritiro: non diciamo che domattina devono prendere l’aereo e tanti saluti all’Irak. Il minuto dopo il ritiro, si porrebbe il problema di come tornarci, con una presenza umanitaria e dedicata alla ricostruzione, sotto egida Onu. E di come quella presenza va difesa e messa in sicurezza.

Ma prima ci vuole un atto di discontinuità».

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