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«Sulla strage a Bologna elementi nuovi per rifare il processo»

Roma Su questo giornale, dopo i fischi di Bologna al ministro Bondi nell’anniversario della strage, Michele Brambilla ieri ha scritto: «Chi ha fischiato è ingiustificabile. Ma lo Stato ha un debito da saldare. Il sangue degli innocenti grida ancora, se non vendetta, bisogno di verità». Spiega il nostro vicedirettore: «Dopo tanti processi, purtroppo, l’unica cosa accertata è che quasi sempre una parte dei nostri servizi è intervenuta per depistare». Ieri Alfredo Mantovano, sottosegretario all’Interno ha raccolto il guanto della sfida di Brambilla. Ma anche «rilanciando» il problema di una delle inchieste più controverse: «Vogliamo dirlo? A questo punto bisogna indagare anche su una nuova pista».
Sottosegretario Mantovano, cosa pensa di questo dibattito sui fischi?
«Mi faccio la domanda più semplice del mondo. Cosa c’entra Bondi con il legittimo desiderio di scoprire la verità?».
Si fischia il governo in quanto simbolico responsabile delle tante zone d’ombra di questa storia, direi.
«Sbagliatissimo».
Sono stati fischiati tutti gli ultimi rappresentanti, di ogni governo, da Amato a Bondi dall’Ulivo al Pdl...
«Purtroppo esiste anche il fischiometro. I governi di centrodestra mi sembrano fischiati con più vigore».
Forse l’esasperazione cresce, invece di scemare...
«Se è così, questo governo è quello che sicuramente non ha alcun tipo di responsabilità».
Non sono mai stati accertati i mandanti della strage...
«Per quel che ci riguarda, non solo non abbiamo posto alcun veto, né omesso un solo atto, ma al contrario: continuiamo a invitare la magistratura, e lo faccio anch’io in questa occasione, a continuare a fare il proprio dovere e le sue indagini».
Vuol dire che i cittadini di Bologna dovrebbero fischiare la magistratura?
«Non sto dicendo questo. Penso che per quel che ci riguarda, non solo a parole, ma anche in Parlamento, abbiamo ripetuto che ci sono elementi non considerati nelle precedenti inchieste, per aprire un nuovo filone investigativo. Ma adesso le faccio io una domanda».
Prego.
«Siamo sicuri che la stessa opinione pubblica che fischia Bondi sarebbe disposta ad accettare novità giudiziarie?».
Perché lo mette in dubbio?
«Avverto il timore, in molti di coloro che chiedono verità, che nuovi accertamenti mettano in discussione certezze che si considerano ormai indiscutibili».
La sentenza su Mambro e Fioravanti?
«Se emergono elementi nuovi questo farà cadere i totem che si sono venerati in questi anni. Qualcuno teme che si rimettano in libertà gli unici colpevoli già assicurati alla giustizia».
Cioè i due ex Nar.
«Magari anche solo il principio che la strage è fascista».
Per lei esistono elementi seri per considerare altre piste?
«Detto senza giri di parole sì. A nome del governo ho predisposto un copioso dossier, in risposta a una interrogazione dell’onorevole Raisi sul tema».
Ci sono elementi nuovi?
«Rispetto a quelli presi in considerazione nelle sentenze sì. Ho collezionato molti fatti che spingono a ipotizzare che ci fossero degli attori diversi sulla scena della strage, che non sono stati indagati a sufficienza».
Si riferisce alla «pista araba»? Non è una novità...
«Che se ne discuta no. Ma rapporti di polizia, e informazioni certe, oggi in nostro possesso, indicano diversi sospetti, che potrebbero aver materialmente collocato la bomba».
Perché?
«Per ricostruire il contesto dobbiamo ripercorrere una storia poco conosciuta dal grande pubblico. Il 13 novembre del 1979 viene arrestato in Italia Abu Anzeh Saleh».
Un rappresentante del Fronte popolare di liberazione palestinese che trasportava lanciarazzi...
«Esatto. Il 15 gennaio del 1980, pochi giorni dopo, un rapporto dell’Ucidigos ci dice che Saleh è in contatto con il terrorista George Abbash, e che si fanno pressioni sul governo per ottenerne la liberazione».
Quasi scontato.
«Già. Ma lo stesso appunto dice che il Flp non esclude il ricatto terroristico».
Ipotizza che la rappresaglia per l’arresto sia la strage del 2 agosto?
«Metto insieme dei fatti. Il 25 gennaio Saleh viene condannato a 7 anni di carcere. L’11 luglio c’è un altro rapporto molto preoccupante dell’Ucidigos».
Cosa dice?
«Che l’Flp, per colpire, potrebbe utilizzare la rete terroristica di Carlos alla quale è direttamente collegato e con la quale ha già operato».
Un «appalto esterno»?
«Già. Sempre in base a tale ipotesi, Carlos incaricherebbe Thomas Kram, un terrorista che opera nel suo gruppo e che conosce l'Italia».
Quei rapporti in ogni caso formulavano ipotesi.
«Però poi scopriamo anche che Kram era esperto di armi e di esplosivi, e per giunta che il 2 agosto era a Bologna! L’1 dorme all’hotel Centrale, e ne abbiamo prova certa. Le coincidenze iniziano a essere troppe».
I magistrati dovrebbero seguire un’altra pista?
«Penso che questi dati dovevano, e dovrebbero essere vagliati. A meno di non pensare che un tipo come Kram fosse il 2 agosto a Bologna perché in transito per Gardaland».
Kram è stato già indagato.
«No, solo sentito come persona informata dei fatti».
Ma questa inchiesta, dopo trent’anni ha ancora senso?
«Io rappresento il governo, e non posso usare la parola forse. Né, sulla base di questi elementi, posso avere certezze accusatorie.

Ma quando ci sono elementi come questi per la magistratura le indagini dovrebbero essere un obbligo».

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