Suonano l’inno di Mameli e la Lega se ne va

MilanoSuona l’inno e i leghisti escono dall’aula del Consiglio regionale della Lombardia. Con l’attacco più velenoso alle pochette verdi che arriva proprio dagli alleati del centrodestra. «Chi non rende onore alla patria - sentenzia Romano La Russa, assessore e coordinatore milanese del Pdl - è un vigliacco e la sua esistenza è meschina». Due mesi al voto in una metropoli come Milano e in tanti altri Comuni e province importanti del Nord e quando c’è profumo di elezioni, la Lega riscopre il suo killer instinct. L’istinto omicida che azzanna per tenere all’erta e motivare un elettorato dai forti caratteri identitari. A farne le spese, questa volta, l’Unità d’Italia che effettivamente compie centocinquant’anni, ma per molti versi ha il vigore di un neonato in fasce. «Quell’inno proprio non si può ascoltare». Ci va giù con l’accetta Igor Iezzi, segretario della Lega a Milano dopo che ieri mattina al seguito di Renzo Bossi, la delegazione del Carroccio aveva abbandonato l’aula.
Spremute e cappuccini al momento dei Fratelli d’Italia, con rischio di incidente diplomatico. «Sapevamo che i consiglieri leghisti avrebbero disertato durante l’inno - sottolinea il capogruppo del Pd Luca Gaffuri - ma quello che non ci si poteva attendere era che sarebbero rimasti al bar anche durante il minuto di silenzio per le vittime del disastro in Giappone». Smorza il caso Roberto Formigoni. «Settanta secondi di inno di Mameli - taglia corto il governatore - non fanno male a nessuno, sono un simbolo importante di quello che siamo». Immediata la condanna della presidente dei senatori del Pd, Anna Finocchiaro: «Trovo inqualificabile questo comportamento, non riesco ad avere parole per commentare».
Ma non finisce qui, perché l’eurodeputato Matteo Salvini domani festeggerà l’Unità lavorando con la scrivania portata fuori da Palazzo Marino, sede del Comune. Insieme all’assessore Alessandro Morelli che sta organizzando grandi eventi per celebrare le Cinque Giornate di Milano, festa particolarmente cara agli uomini di Bossi che ricordano l’insurrezione del 1848 che cacciò gli austriaci. Sabato sera duecento figuranti in piazza Duomo e rombi di cannone per l’anniversario dell’insurrezione. Presente Bossi che, invece, non ci dovrebbe essere oggi quando alle 16.30 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano entrerà nell’aula di Montecitorio pavesata di Tricolore. Possibile la presenza dei ministri Roberto Calderoli e Roberto Maroni.
Leghisti assenti ieri anche a Genova, dove il consiglio regionale della Liguria e i consigli Provinciale e Comunale si sono riuniti in seduta solenne per festeggiare i 150 anni. La protesta qui non contro l’inno, ma per la presenza di uno dei due relatori ufficiali, Antonio Gibelli, docente di storia all’Università di Genova ed evidentemente schierato vista la pubblicazione del pamphlet «Berlusconi passato alla storia. Italia nell’era della democrazia autoritaria». Cerca di frenare, invece, il governatore del Veneto Luca Zaia. «Si sta trasformando tutto in rissa. Si vuole mettere l’uno contro l’altro, ci vuole un leghista da attaccare e contrapporre e in questa fase quel leghista sono io.

Tutti sanno che io parteciperò alle commemorazioni, ma c’è qualche “cretino” che non ha capito cosa vuol dire che io lavorerò: sono un rappresentante delle istituzioni e quindi lavorerò per la festa. Andrò ai festeggiamenti perché questo è il mio lavoro».

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