Il suono magico di Carlos Santana all'Ippodromo

Il suono magico di Carlos Santana all'Ippodromo

Woodstock, sabato 16 agosto 1969, alcuni giovanissimi musicisti messicani, o meglio chicani, aspettano di salire sul palco davanti a mezzo milione di persone. Guadagneranno 2500 dollari; noccioline davanti ai 30mila che riceverà Jimi Hendrix, una cifra da capogiro per quei ragazzi che vengono dalle luride strade senza sepranze di Tijuana e per il loro leader, l'ex lavapiatti Carlos Santana. I ragazzi aspettano l'ora X, le 20 di quella sera, ma a causa dell'alluvione gli organizzatori li sbattono sul palco senza preavviso alle 14.30. È il battesimo del fuoco... Carlos, quasi nascosto alla vista e con un lancinante mal di stomaco, scarica tutta la potenza della sua Gibson rossa sul pubblico... Sale sul palco da sconosciuto e dopo l'inno Soul Sacrifice ne scende da eroe del rock.
44 anni dopo, quando i suoi fan che impazziscono per dischi «recenti» come Supernatural (che nel 1999 ha venduto la bellezza di 21 milioni di copie) non erano ancora nati, Carlos Santana è ancora uno dei re della chitarra, dal suono riconoscibile e inconfondibile, che a 66 anni continua a incidere dischi (l'ultimo dell'anno scorso è il quasi interamente strumentale Shape Shifter dedicato ai pellirosse)e a girare il mondo in tournée. Per lui riposare significa suonare per un mese di fila alla House of Blues di Las Vegas. «Il concerto è la mia vita, piuttosto a volte la seccatura sono gli aerei presi al volo, i check in, il tempo trascorso in viaggio», dice con fervore. Insomma è uno che non molla mai, che non lascia spazio alla nostalgia perché, nel bene e nel male, cerca sempre di rinnovarsi. Per averne la prova andate ad ascoltarlo questa sera all'Ippodromo di Milano, dove si esibisce all'interno del City Sound Festival con la sua band. Lo ascolteremo inanellare il suo affascinante groviglio di contraddizioni in musica, dove intrattiene un rapporto megico e flessibile col rock duro e i ritmi latini, con la ruvidità del blues e il birignao melodico. Pochi come lui, infatti, sono stati in grado di interpretare il più puro melodismo (la dolce Samba pa ti è un classico trasversale e multigenerazionale) e il rock cattivo di Incident at Neshabur di Soul Sacrifice, di Black Magic Woman scritta da Peter Green ma destrutturata e ricostruita con il suo latin blues rock. E ancora di strizzare l'occhio (con classe) al pubblico radiofonico con brani come Maria Maria e Corazon espinado. «Ci sono suoni che curano lo spirito - sottolinea Santana -, una bella canzone è come una casa ben costruita che ospiterà non una sola famiglia, ma intere generazioni».

Un po' santone (fu un fervente seguace del guru Sri Chinmoy e del John Coltrane di A Love Supreme)un po' guascone sa anche incidere album come Guitar Heaven in cui rilegge i classici di Beatles, Led Zeppelin & co. Operazione commerciale? Per lui«un modo di ricordare tanti amici, perché la condanna dell'uomo moderno è la solitudine, e le canzoni sono una comunione».

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