Politica

Il super partes che non c'è

Il centrodestra è unanime - fatto salvo qualche cauto distinguo dell’Udc - nel chiedere che si vada senza frapporre indugi alle elezioni anticipate. Ci si deve andare perché mancano sia le intese sia i tempi indispensabili per riforme serie. Dallo schieramento opposto - o piuttosto dalla molteplicità di schieramenti generata dal crollo del governo Prodi - viene una serie di proposte che hanno per denominatore comune il rinvio. Bisogna aspettare due mesi per attuare la riforma elettorale; oppure bisogna aspettare un annetto per dar vita, oltre che a una nuova legge elettorale, anche ad altri incisivi provvedimenti (ad esempio la radicale diminuzione dei parlamentari, la fine del bipolarismo in fotocopia, l’accrescimento dei poteri del premier, tutta roba già varata da Berlusconi e buttata nel cestino da Prodi).
Quale che sia, in ipotesi, la durata di questo esecutivo eccezionale, un dato appare certo. Il governo di transizione, o istituzionale, dovrebbe essere affidato a una personalità di poca o nessuna colorazione politica e di grande autorevolezza. Berlusconi non si fida e ha mille ragioni per non fidarsi. Il “suo” Lamberto Dini formò nel 1995 un governo di tecnici che in pochi mesi diventarono politici. Insomma, non ci vorrebbe un Dini, ci vorrebbe una personalità davvero super partes.
Qui casca non l’asino - mai mi permetterei -, ma il centrosinistra. Riaffiora cioè a questo punto la questione dei senatori a vita, coinvolti a forza nelle votazioni di Palazzo Madama con lo scopo di salvare l’esecutivo pletorico e cadente del professore di Bologna. Si argomentò - prendendo a male parole chi muoveva critiche - che i senatori a vita avevano diritto di pronunciarsi alla pari dei loro colleghi eletti dal popolo, e che solo degli analfabeti delle regole costituzionali potevano mettere in dubbio questo loro potere e dovere. In effetti erano formalmente autorizzati a votare anche su temi squisitamente partitici, niente da obbiettare sul piano procedurale. Ma intervenendo in favore d’una parte, e sempre dalla stessa parte, hanno ripetutamente smentito il precetto virtuoso che li vuole “super” . E così adesso, quand’anche la tesi del governo istituzionale fosse accettata, a chi si rivolgerebbero Veltroni e compagnia per trovare l’arbitro d’una partita politica delicatissima? I candidati naturali all’incarico - ossia gli ex del Quirinale e i vegliardi gratificati con il laticlavio per particolari benemerenze - sono fuori causa, schierati e bruciati. La Repubblica non è in grado di utilizzare questa riserva di saggezza.

Si può anche non esserne entusiasti, ma restano solo le urne.

Commenti