Questa è la storia di come non si acchiappa un bandito. Meglio, di come si fa di tutto per non acchiapparlo. L'ingegner Elvo Zornitta esce dal tritacarne giudiziario immacolato e miracolato («È arrivato il giorno della risurrezione - ha esclamato ieri mentre brindava nella sua casa presso Pordenone -, lo spumante lo stapperò dopo la decisione del gip»): non è lui Unabomber, la procura di Trieste chiederà di archiviare il fascicolo a suo carico per mancanza di «elementi sufficienti per sostenere l'accusa in giudizio», ed è inverosimile che il gip, che ha l'ultima parola, contraddica il pm. Onore dunque a Zornitta, e disonore sui magistrati che ammettono la «sconfitta oggettiva». Il sipario cala a coprire l'imbarazzo degli inquirenti che hanno fatto di tutto per incastrare l'ingegnere. Un tecnico avrebbe perfino taroccato la prova-chiave, un lamierino di un ordigno inesploso (il processo è in corso).
E il vero Unabomber, più sgusciante di un'anguilla in laguna, chi lo prenderà più? Il dinamitardo del Nordest apparve il 21 agosto 1994 alla sagra dei osei a Sacile, presso Pordenone: un tubo-bomba imbottito di polvere da sparo e biglie d'acciaio ferì tre persone. Abbandonò altri ordigni in strade, piazze, sfilate di Carnevale; passò poi agli attentati sulle spiagge di Lignano; quindi prese di mira i supermercati. Dal Friuli si allargò in Veneto dando sfogo a una fantasia esplosiva: fece scoppiare uova, tubetti di maionese e conserva, vasi di Nutella, pennarelli, bolle di sapone, sorprese degli ovetti di cioccolata. Sopraggiunse il periodo mistico, con un cero-bomba nel cimitero di Motta di Livenza e un altro alla messa di Natale a Cordenons. Infine la sfida più beffarda, il botto in un bagno del tribunale di Pordenone. Loro lo cercavano e lui gli piazzò il detonatore sotto il sedere.
Unabomber ferisce ma non ammazza. Mutila e acceca le sue vittime (predilige massaie e bambini) ma i suoi congegni hanno il potere di terrorizzare, non di uccidere. Non lascia tracce, muta di continuo obiettivi e modi di agire, cambia città e paesi senza abbandonare l'area al confine tra Veneto e Friuli. Due regioni, quattro province (Pordenone, Udine, Treviso, Venezia). E dietro di sé, come un sadico pifferaio magico, si trascina un codazzo di inquirenti disorientati che indagano «in tutte le direzioni» senza approdare a nulla: quattro procure, due procure distrettuali, la polizia scientifica, i carabinieri del Racis, il pool interforze costituito dal ministero dell'Interno. Ognuno con la sua scena del crimine e i suoi investigatori in tuta bianca, in un «Csi» senza lieto fine, anzi proprio senza fine.
Ci vuole una bambina di 10 anni che perde un occhio e una mano sul greto del Piave mentre toglie il cappuccio a un pennarello per convincere gli investigatori a coordinarsi. Si trasforma l'accusa in terrorismo senza finalità eversive; si accentrano le indagini a Venezia. È il 2003, il bombarolo folleggia da nove anni. Nel 2005 semina ovetti alla dinamite sul viale che porta al tribunale di Treviso mentre in tv spopola la fiction dedicata ai Ris. «Di lui non sappiamo niente», dice il procuratore di Venezia Vittorio Borraccetti. «Mancano gli elementi minimi», gli fa eco da Trieste il procuratore distrettuale antimafia Nicola Maria Pace.
In realtà la svolta era già maturata. La trappola collocata sotto l'inginocchiatoio di una chiesa di Portogruaro non era esplosa. Il pool interforze ne analizzava ogni micronesimo di millimetro a caccia di indizi. Finché trovano quello che cercano. I segni dei tagli su un lamierino coincidono con quelli lasciati da un paio di cesoie trovate nel capanno degli attrezzi di Zornitta. E siccome l'ingegnere vive nell'epicentro degli attentati ed è esperto di esplosivi, il gioco è fatto. Avviso di garanzia, interrogatori, incidenti probatori, gogna mediatica, dichiarazioni spavalde dei pm, nuovo sdoppiamento del fascicolo. I controesami mostrano però che il pezzo d'ottone è stato manomesso: quelle forbici lo hanno certamente tagliato, però non le impugnava Zornitta bensì un tecnico investigativo. Nel frattempo Unabomber si è preso una pausa.
È la lapide sull'inchiesta, che mese dopo mese si sbriciola.
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