Il superstipendio non basta: sciopero alla Bce

Il superstipendio non basta: sciopero alla Bce

C’è una prima volta per tutto, persino per lo sciopero alla Banca centrale europea. Novanta minuti, dalle 16 alle 17 e 30 di ieri, durante i quali più o meno duecento dipendenti sui 1.600 circa della Bce si sono radunati sotto il grande simbolo dell’euro che si trova nella Willi Brandt Platz, a Francoforte. Nella spianata alberata che sta accanto all’Eurotower - sede provvisoria della Bce in attesa del nuovo palazzone che sorgerà nella Grossmarkthalle, dove un tempo si trovavano i mercati generali della città - economisti e segretarie, centralinisti e analisti di mercato, funzionari ed impiegati hanno protestato contro le nuove norme del Fondo pensioni della banca, che prevedono un aumento dei contributi e nuovi coefficienti previdenziali.
La «protesta dei panda», l’ha definita qualcuno, ricordando le tutele e le retribuzioni dei 1.600 dipendenti della Bce. Il Fondo pensioni della Banca, totalmente autofinanziato con investimenti sui mercati finanziari, con le vecchie regole non sarebbe stato più sostenibile in prospettiva. Così, i vertici della Bce hanno deciso, alla fine di aprile, di aumentare contributi pensionistici obbligatori dal 4,5% al 6%, e quelli volontari dal 16% al 18%. I dipendenti in agitazione accusano il presidente Jaen-Claude Trichet e l’alta dirigenza della banca di violare «diritti acquisiti». Ma come è possibile parlare di diritti acquisiti, ci dicono fonti dell’Eurotower, in una istituzione che ha solo dieci anni di vita?
Come spesso capita nelle vertenze sindacali, una questione di portafogli è stata mascherata con lo slogan della «mancanza di democrazia interna» nella Bce. Il sindacato Ipso (International and European public service organization), forte dei suoi circa 400 iscritti, lamenta di essere ascoltato soltanto a titolo consultivo dal board della Banca. In verità, ci sono lamentele perché - oltre alla questione delle pensioni - sono stati decisi alcuni tagli di spesa: per esempio i voli europei si fanno in economy e non più in business class. E c’è vivo malcontento anche per il trasferimento della sede dalla centralissima Kaiserstrasse alla più periferica zona degli ex mercati generali.
Insomma, tutto il mondo è Paese: fare un passo indietro è difficile, anche per i dipendenti della Banca centrale europea che, a dirla tutta, non muoiono di fame. Gli stipendi sono assai buoni, dai 100 mila euro per un economista ai 200 mila di un alto funzionario (ad esempio un direttore generale). La tassazione sul reddito è quella comunitaria, più favorevole di quelle nazionali, e non mancano facilitazioni di ogni tipo, dalle abitazioni per i non residenti agli asili nido. Certo siamo lontani dalle performance del settore privato, dai superbonus dei banchieri. Ma c’è di peggio in circolazione, soprattutto in tempi difficili di crisi.
La dirigenza della Banca, in un comunicato di poche righe, conferma che lo sciopero ha interessato circa 200 dipendenti. E ricorda che la funzionalità della Bce è stata totalmente assicurata. Il Giornale lo ha constatato: centralino funzionante, segretarie e dirigenti al loro posto durante l’ora e mezza di protesta.

Uno dei nostri interlocutori dice: ma come possiamo chiedere ai governi europei di moderare i salari e riformare le pensioni se la banca per prima non agisce in modo consono? L’esempio conta, e Jean-Claude Trichet lo sa perfettamente. Perciò non era contento dell’agitazione, che tra l’altro si è svolta alla vigilia del Consiglio direttivo della banca, in programma oggi, dove saranno varate nuove misure contro la crisi.

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