Gli sventurati «cento giorni» di Prodi

Gli sventurati «cento  giorni» di Prodi

Caro Paolo,

ti sottopongo copia della lettera che ho inviato a Ezio Mauro, direttore di Repubblica: «Caro direttore, vedo oggi (domenica 23 aprile, articolo di Eugenio Scalfari) che continuate a usare la «Formula dei primi cento giorni», questa volta indicando a Prodi cosa dovrebbe fare il suo governo appunto in quel suo iniziale lasso di tempo. Vorrei farvi però presente che tale “formula” non porta molto bene: il primo ad adottarla fu infatti l'ex governatore della Louisiana e all’epoca senatore Huey Long che nel 1935, proponendosi in vista delle presidenziali del 1936 quale candidato in alternativa a Franklin Delano Roosevelt, per far conoscere i suoi programmi diede alle stampe un libello intitolato I miei primi cento giorni alla Casa Bianca. Ebbene, il buon Long - grande oratore e vero trascinatore di folle, demagogo e populista - di lì a poco venne a morte, ucciso per questioni personali da un medico di campagna delle sue terre. Occhio, quindi!

Bella storia, caro Mauro, ma vogliamo parlare dei cento giorni di Napoleone Bonaparte? Trionfalissimi («Il tiranno è fuggito dall’Elba», titolò Le Moniteur il primo marzo del 1815. Due giorni appresso: «L’orco è sbarcato in Francia».
Poi: «Il fuggitivo ha l’arroganza di marciare verso Parigi», «Bonaparte a poche leghe della capitale», «L’eroe di Marengo e di Austerliz alle viste di Notre Dame», «L’imperatore dei francesi riprende nelle sue mani la guida della nazione»), niente da dire, ma poi venne il 18 giugno, la «giornata del destino» per dirla con Victor Hugo. Insomma, coi cento giorni occorre andarci piano. Portano jella. Non che testa quedra abbia bisogno della malasorte per vivere la sua Waterloo, ne ha – e gli avanza - del suo. Non sarà certo - no davvero, lunga vita a testa quedra – un medico delle campagne di Scandiano, Reggio Emilia, a rovinargli la festa, ma piuttosto la dubbia consistenza del filo al quale è appeso assieme alle trecento pagine del suo programma. Basta un niente, basta la schicchera d’un verde, il ritardo del Buenos Aires-Roma, la/il Luxuria al/alla quale si rompe un tacco a spillo, il reumatismo d’un senatore o senatrice a vita e patapumfete, vien giù tutto.

Dando una occhiata al calendario i suoi cento giorni dovrebbero spirare attorno a Ferragosto. La sua sarà dunque una uscita di scena alla chetichella. Saremo tutti al mare e non se ne accorgerà nessuno.
Paolo Granzotto

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