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Svindal, il quasi morto tornato in vetta al mondo

La seconda carriera di Aksel Lund Svindal è cominciata con una doppietta inattesa in discesa e superG ed è proseguita ieri con un terzo posto in gigante, 260 punti che lo proiettano in vetta alla coppa del mondo, con largo margine. Non era così scontato che il norvegese tornasse a vincere dopo quello che gli era successo un anno fa, perché ci sono atleti che pagano caro gli infortuni, non riuscendo a superare lo choc di cadute pesanti e dolorose: tornano, magari, ma non vanno forte come prima.
Svindal non fa parte di questa categoria. È tornato a vincere e lo ha fatto proprio a Beaver Creek, sulla spettacolare pista Birds of Prey che era stata teatro del suo volo drammatico e del suo momentaneo abbandono ai sogni di gloria.
Nel novembre 2007, Svindal stava dominando la coppa del mondo, aveva vinto due delle prime quattro gare e sembrava lanciato verso il bis, era infatti lui il detentore del trofeo. Poi il volo su quel salto dal nome profetico, «Golden Eagle», aquila dorata, proprio come lui, dorato senza dubbio e non solo per le vittorie sportive. Così come non ci sono dubbi per l'aquila, almeno leggendo la definizione che del rapace offre Wikipedia: «Caratterizzata da grande robustezza e prestanza fisica, dispiega volo potente, maestoso; piomba sulle prede». Che nel caso di Svindal non sono allegri leprotti, giovani cerbiatti o lente tartarughe, ma fior di sciatori, da Maier a Cuche, da Miller ad Albrecht, da Buechel a Walchhofer e poi Raich e Ligety, che ieri però lo hanno messo in difficoltà, lo hanno battuto cioè, primo e secondo, separati da un solo centesimo, nel secondo gigante stagionale che ha visto l'ottima prova di Davide Simoncelli, quinto, ma anche l'ennesima delusione per Manfred Moelgg (20° dopo una caduta nella 2ª manche) e per Max Blardone (12°, senza gravi errori, che è quasi peggio).
Fa sempre piacere quando un grande campione riesce a superare un momento difficile e torna a vincere, ma nel caso di Svindal fa ancora più piacere, perché il ragazzo norvegese è un campione, ma soprattutto un uomo speciale. Non credo che i numeri uno di sport popolari e ricchi come lo sci, sport nei quali si può arrivare a guadagnare milioni di euro (a patto di essere davvero dei numeri 1, altrimenti gli euro si riducono a poche decine di migliaia…), si degnerebbero di rispondere a mail di giornalisti che fanno domande curiose… Tanto per cominciare i numeri 1 di altri sport non darebbero le mail ai giornalisti… Lui non solo ti dà la mail, ma ci mette poche ore a rispondere, in qualunque momento dell'inverno o dell'estate. Poche righe, nel suo inglese perfetto, ma più che sufficienti a soddisfare le curiosità, a dire come sta, cosa fa… È gentile Aksel, educato, rispettoso.

Ha perso la mamma quando aveva otto anni, è cresciuto con il papà, commercialista, ma soprattutto con il desiderio di emulare i suoi idoli Aamodt e Kjus, eroi norvegesi negli anni Novanta, quelli dell'adolescenza di Aksel, nato nel 1982.
Ci ha messo un po' ad arrivare al vertice Aksel, ma ora che lo ha fatto, anzi che lo ha rifatto, sarà dura buttarlo giù dal trono.

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