Svolta in Afghanistan, sì dei talebani al negoziato

Ma colloqui segreti sarebbero già in corso in Pakistan: agli integralisti si offrirebbe spazio in alcuni governi locali se romperanno con Al Qaida

I talebani “aprono” al presidente afghano Hamid Karzai, che aveva proposto trattative di pace con i fondamentalisti in armi. «Per il bene e per gli interessi della nazione siamo pronti a negoziati con il governo», ha dichiarato uno dei più noti portavoce dei talebani, Youssuf Ahmadi. Per la prima volta un rappresentante dei tagliagole islamici fa un’apertura del genere durante un’intervista telefonica con l’agenzia di stampa cinese. «Nello stesso modo in cui abbiamo avuto colloqui con il governo sudcoreano, possiamo aprirne a livello ancora più elevato con il governo (afghano)», ha dichiarato Ahmadi. Il riferimento è alle trattative per la liberazione degli ostaggi sudcoreani del mese scorso che hanno avuto successo. «Appena il governo chiederà formalmente di aprire dei negoziati, saremo pronti» ha aggiunto il megafono dei talebani.
Karzai, domenica scorsa, aveva chiaramente detto di essere pronto a trattare con i fondamentalisti. Il presidente aveva aggiunto che «se avessi un indirizzo dei talebani e potessi inviare qualcuno per incontrarli lo farei subito». Interpellato sulla risposta dei talebani, giunta 24 ore dopo, il portavoce presidenziale, Homayun Hamidzada, ha dichiarato che «le porte del governo sono aperte per tutti coloro che accetteranno di obbedire alla Costituzione e alle altre leggi della nazione».
In realtà trattative segrete con i talebani sarebbero già in corso in Pakistan. Secondo Asia Times online, un sito ben informato sui retroscena afghani, le autorità di Kabul, i servizi pachistani e quelli occidentali, a cominciare dagli americani, sono impegnati in contatti con i talebani a Quetta e Peshawar, i due principali capoluoghi della zona tribale di frontiera con l’Afghanistan. I talebani la chiamano Teega, che in pastho indica un negoziato che deve risolvere una guerra. La trattativa si basa su un coinvolgimento di esponenti vicini ai talebani nell’amministrazione delle province meridionali a maggioranza pasthun, infestata dalla guerriglia e dal terrorismo. In cambio i talebani devono accettare una tregua duratura e prendere nettamente le distanze da Al Qaida.
A Kabul, un anello di congiunzione con i talebani è mullah Haji Abdul Salam Zaif, che nel 2001 era l’ultimo ambasciatore talebano in Pakistan. Dopo aver passato tre anni e mezzo a Guantanamo, oggi è libero di muoversi nella capitale afghana, ma non può espatriare. Il problema è che gli stessi talebani sono divisi sulle richieste e sulle precondizioni. Una di queste è il ritiro delle truppe straniere dall’Afghanistan, che significherebbe la fine del governo di Kabul e probabilmente l’inizio di una nuova guerra civile.
Nel frattempo i kamikaze continuano a insanguinare il Paese. Ieri a Helmand un attacco suicida ha provocato 28 morti. L’obiettivo era un comandante della polizia locale, Haji Abdul Qodus, che è sopravvissuto. Secondo un rapporto della missione Onu in Afghanistan, nei primi sei mesi dell’anno i kamikaze hanno provocato 193 vittime, 121 delle quali civili.

Il doppio rispetto al 2006. L’Onu ha intervistato in carcere 20 kamikaze fermati all’ultimo momento, compreso un ragazzino di 15 anni. A uno dei sopravvissuti erano stati promessi 165 dollari per portare a termine l’attacco.

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