Roxana Saberi è libera. La giornalista irano-americana che in primo grado era stata condannata da un tribunale iraniano a otto anni di carcere per «cooperazione con un Paese ostile» (gli Stati Uniti) ha visto ridurre in appello la sua pena a due anni con la condizionale ed è stata quindi rilasciata.
La Saberi era stata arrestata lo scorso 31 gennaio e ha trascorso cento giorni nel famigerato carcere di Evin, alla periferia di Teheran, lo stesso dove il 1° maggio è stata impiccata - nonostante avesse appena ricevuto una sospensione della pena di due mesi - la ventitreenne pittrice Delara Darabi, accusata di omicidio. E così come quella frettolosa e spietata esecuzione era stata spiegata come un segnale di chiusura dei «falchi» del regime al dialogo offerto alla Repubblica islamica da Barack Obama, il rilascio della Saberi viene interpretato viceversa come un’offerta di disponibilità: la motivazione del forte sconto di pena che ha consentito la scarcerazione è infatti quella che gli Stati Uniti non possono essere considerati un Paese ostile all’Iran, non sussistendo tra loro uno stato di guerra. Il reato è stato quindi derubricato a «raccolta e trasmissione di informazioni atte a minacciare la sicurezza del Paese».
Sia come sia, la famiglia Saberi non ha perso tempo. Il padre Reza è andato a prendere la figlia in auto a Evin e ha dichiarato all’inviato della Cnn di volerla riportare «al più presto» negli Stati Uniti. Sebbene la sentenza prescriva che solo se non commetterà altri reati nei prossimi cinque anni la sua liberazione diventerà definitiva, Roxana dovrebbe, secondo i suoi legali, poter lasciare liberamente l’Iran: «Dipende solo da lei se lasciare o no il Paese», ha dichiarato l’avvocato Abdolsamad Khorramshahi. Una fonte giudiziaria iraniana ha confermato che la giovane è ora «libera di fare ciò che vuole come qualsiasi cittadino in possesso di un passaporto, e può andare e venire a suo piacimento».
Dietro la vicenda di Roxana Saberi c’è un braccio di ferro tra Teheran e Washington che continua da mesi. Nata e cresciuta negli Stati Uniti da padre iraniano e madre giapponese, la 32enne giornalista era stata inizialmente arrestata con l’accusa di aver acquistato bevande alcoliche, poi si erano aggiunte quella di svolgimento della professione giornalistica senza un permesso in corso di validità e quella ben più seria di spionaggio. È un fatto che Roxana si era trasferita stabilmente in Iran nel 2003 e aveva lavorato come giornalista free-lance per alcuni network occidentali, fra i quali la National Public Radio, la Bbc e Fox News. Da oltre due anni, secondo le autorità iraniane, il suo accredito stampa era stato revocato, ma aveva continuato a lavorare.
Il 31 gennaio la Saberi era stata arrestata e rinchiusa nel carcere di Evin. Il 13 aprile, in primo grado di giudizio, era stata condannata a otto anni e dal 21 aprile al 5 maggio aveva effettuato uno sciopero della fame per chiedere il rilascio. Negli ultimi mesi il presidente Obama era più volte intervenuto chiedendo la liberazione della giornalista e ieri ha detto di apprezzare «il gesto umanitario» compiuto dall’Iran. E questo deve aver sortito un effetto, perché dopo la sentenza di primo grado il presidente iraniano Ahmadinejad aveva chiesto alla magistratura di rispettare «i diritti alla difesa» di Roxana Saberi.
La soluzione giudiziaria del caso è arrivata più presto del previsto. Domenica infatti, dopo un’unica udienza durata quattro ore, i tre giudici della Corte d’appello avevano detto che la sentenza sarebbe stata annunciata «nei prossimi giorni».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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