Luciano Gulli
Dopo lIra, lEta. Lorganizzazione separatista basca (come qualche mese fa l«Esercito repubblicano irlandese») ha annunciato ieri una tregua permanente, mettendo la parola fine (lo diciamo con tutta la prudenza del caso) a 38 anni di guerra contro lo Stato spagnolo.
La decisione («una giornata storica», è il commento del premier basco Juan Josè Ibarretxe) è contenuta in un comunicato giunto ieri al quotidiano di Bilbao Gara. In esso, lorganizzazione indipendentista responsabile delluccisione di oltre 850 persone in 38 anni di attentati (dati del ministero dellInterno spagnolo) annuncia che la tregua entrerà in vigore domani, venerdì. Una tregua che, nelle intenzioni dellEta, dovrà dare «impulso al processo democratico in Euskadi», assicurare i «diritti» del popolo basco e la possibilità di «sviluppo di tutte le opinioni politiche». Una formulazione piuttosto contorta, come si vede, che lascia aperto il varco ad oscure «condizioni» di cui in questo primo comunicato, ad ogni buon conto, non si fa cenno. Certo non è una rinuncia allindipendenza, che nelle intenzioni dellEta resta affidata «ai cittadini baschi che devono avere lultima parola e la decisione sul loro futuro». Ma lindipendenza non è più un obiettivo da raggiungere con le pallottole e la dinamite.
È stato il leader del Partito popolare, Mariano Rajoy, a gettare acqua sul fuoco degli entusiasmi ricordando in Parlamento che lEta «continua a ricordarci i suoi obiettivi e a porre condizioni». Insomma, a leggere in controluce il comunicato dellorganizzazione, osserva Rajoy, si vede bello chiaro che, in cambio della tregua, gli indipendentisti chiedono alla Spagna il pagamento di un «prezzo politico». Ebbene, se è a questo che gli incappucciati baschi puntano, dice il leader dellopposizione di centrodestra, sappiano che la Spagna non è disposta a concedere sconti e aggiustamenti sui processi in corso ai responsabili di omicidi e attentati, e sulla legislazione antiterrorismo.
Lo spesso premier spagnolo, Josè Luis Rodriguez Zapatero, pur rallegrandosi per lannuncio, pare intenzionato a procedere con i piedi di piombo, senza farsi andare a facili entusiasmi. A Rajoy, Zapatero ha promesso «la massima informazione e la massima collaborazione» nel gestire un processo di pace che sarà «lungo, duro e difficile». Zapatero ha espresso laugurio che si arrivi alla fine della violenza «nel rispetto della democrazia e della legge».
Una tregua permanente promossa dallEta era la condizione posta dal governo Zapatero per poter aprire un dialogo di pace. Ora lofferta di una tregua, una tregua vera e duratura, cè. Ed è già un passo avanti sul quale nessuno fino allaltro ieri avrebbe scommesso un centesimo. Il premier basco Ibarretxe, che vede già la pace a portata di mano, ha annunciato che contatterà tutti i partiti politici baschi, inclusa Batasuna, per negoziare una normalizzazione da sottoporre poi a una consultazione popolare. AllEta, linvito a «non frustrare mai più lillusione del nostro popolo» e alle forze politiche quello di rendere «irreversibile» il processo di pace.
La «dichiarazione di guerra» dellEta risale al 7 giugno 1968, quando alcuni attivisti dellorganizzazione uccisero un militare della Guardia Civil a Guipuzcoa, ai confini con la Francia. Euskadi Ta Azkatasuna (Patria basca e libertà), che per simbolo ha un serpente attorcigliato a unascia, fu fondata nel luglio del 1959. Obiettivo dichiarato: lindipendenza dellEuskal Herria (il Paese Basco), un territorio abitato da due milioni e mezzo di persone sparse tra la regione autonoma basca, la Navarra e il Paese Basco francese. Nel 1974, lEta si scisse in due gruppi: unala più propriamente militare e una che, pur senza rinunciare alla lotta armata, privilegiava lapproccio politico. Fazione, questultima, che nel 1981 rinunciò definitivamente alluso delle armi.
Fra gli attentati più clamorosi, quello allammiraglio Carrero Blanco, capo del governo fatto saltare in aria con la sua auto cinque giorni prima del Natale 1973. Nel settembre del 1974, dodici persone muoiono per lesplosione di una bomba piazzata al caffè Rolando a Madrid, situato vicino alla Casa de Correos, la prigione in cui venivano rinchiusi gli oppositori al regime di Franco.
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