La svolta di Tonino Ora fa il moderato per scavalcare il Pd

RomaNon sarà ancora uno «statista», come lo definisce ironicamente Fabrizio Cicchitto, ma se ci sono due cose che non difettano ad Antonio Di Pietro sono il fiuto e la prontezza di riflessi. Ed è grazie a queste sue doti che l’ex pm sta cercando di riciclarsi e uscire dall’impasse in cui si trova la sua creatura, l’Idv.
All’indomani delle amministrative (che per Idv sono andate malissimo) e dei referendum (un successo, ma da condividere con molti padri), stanno crollando i due caposaldi del dipietrismo, a cominciare da quello fondamentale, ossia Berlusconi. Ma anche il serbatoio elettorale su cui Tonino aveva puntato dopo il 2008 si è esaurito: la sinistra radical ha ormai ritrovato altri canali di rappresentanza, la Sel di Vendola in testa. Di qui il rapido salto dell’ex pm, che ha in mente uno schema semplice: alle prossime elezioni il centrosinistra si presenterà con una formazione a tre punte, con Sel a sinistra e Pd al centro. Manca la destra e lui punta a coprire quel fronte. D’altronde lo ha sempre teorizzato, «io non sono né di destra né di sinistra», si riconverte a seconda delle necessità. La sua necessità, oggi, è quella di stringere un’alleanza di ferro con Bersani, cui ha già assicurato pieno appoggio in vista della partita per la premiership, che l’ex pm preferirebbe venisse decisa subito e a tavolino, senza passare per primarie che lo costringerebbero o a contarsi (rischiando di deprezzarsi), o a restare ai margini dello scontro con Vendola. Con l’attuale legge elettorale, coalizzarsi col Pd gli eviterebbe la tagliola del 4%, che in base ai risultati delle amministrative Idv non supererebbe. L’altro pericolo da sventare è un’eventuale riforma elettorale, magari nata da un’intesa tra Pd e Lega, che riapra le porte al proporzionale senza premi di coalizione, mettendo ai margini i partiti minori e lasciando al Pd la possibilità di giocare tra i due forni della sinistra e del centro casiniano. Per questo Di Pietro spera che il voto arrivi prima possibile, e senza alleanze con l’Udc che potrebbe mettere il veto su di lui; mentre Bersani - che lancia ultimatum sulle dimissioni del premier - in realtà si augura una lenta consunzione della maggioranza, costretta comunque a gestire la pesante manovra d’autunno, per poi arrivare stremata al voto nella primavera del 2012, regalando la vittoria al centrosinistra.
Un secondo, importante capitolo che Di Pietro deve affrontare è quello del partito, oggi inesistente. Per questo parla insistentemente di «Idv 2», e ha dato mandato all’ex rifondarolo Maurizio Zipponi (l’uomo che gli ha costruito un rapporto con Cgil e Fiom) di immaginare una strutturazione territoriale e organizzativa di quello che finora è stato un partito leaderistico e totalmente accentrato. E totalmente privo di una classe dirigente degna di questo nome: l’ex pm sa di non potersi più permettere di inzeppare le liste elettorali di personaggi reclutati dalle quarte file di altri partiti in base ai pacchettini di voti che potevano portare, e pronti alla prima occasione al salto della quaglia. Dunque occorrono nuovi criteri di selezione e nuovi serbatoi (dai grillini ai comitati referendari) da cui attingere quadri. Di questa mutazione genetica si discuterà agli Stati generali di Idv convocati per fine estate. Fino a qualche tempo fa rischiava di diventare una resa dei conti pericolosa per Tonino con la fronda guidata da De Magistris.

Che certo è uscito dalle amministrative forte di un grande successo personale (l’unico che ha trascinato i risultati di Idv), ma - come fa notare Di Pietro- ora «ha avuto la bicicletta, e gli tocca pedalare». Insomma, all’ex antagonista adesso tocca fare sul serio il sindaco di Napoli, o almeno provarci, e per i prossimi anni sarà troppo impegnato per fargli la guerra.

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