Politica

Il tabù della cultura meticcia

L’ignoranza è la madre di tutte le catastrofi e la polemica sorta sull’intervento del Presidente del Senato Marcello Pera al Meeting di Rimini non sfugge a questa regola. Qual è la frase che ha scatenato la “vibrante protesta” delle anime belle? Eccola: «In Europa la popolazione diminuisce, si apre la porta all’immigrazione incontrollata, e si diventa “meticci”». Su quest’ultima parola, “meticci”, gli alfieri del politicamente corretto hanno costruito la novella del Presidente Pera «pusher d’identità artificiali e manipolate» (copyright Gad Lerner).
Ciò che sorprende non è l’attacco a Pera (era scontato e si sarebbero appigliati a qualsiasi frase del suo intervento pur di metterlo sulla graticola), ma l’ignoranza - non sappiamo se voluta o naturale - su un dibattito culturale che va avanti da almeno un secolo. Pera infatti si riferisce non alla genetica, ma al tema del “meticciato culturale” e del multiculturalismo. Problemi che la società americana ha cominciato ad affrontare nel lontano 1908, quando lo scrittore ebreo Israel Zangwill mandò in vetta alla classifica dei dischi la canzone Melting Pot provocando l’entusiasmo di Theodore Roosevelt e accendendo un intenso dibattito sull’identità del “new American man”.
Da allora è passata tanta acqua sotto i ponti e mentre gli Stati Uniti hanno sviluppato un modello di integrazione delle altre culture nel ceppo originario, anglo-protestante, dei Padri Fondatori, l’Europa ha continuato a vivere senza il problema per oltre mezzo secolo, salvo poi risvegliarsi dal dolce sonno negli anni Ottanta con la terza ondata dei processi di democratizzazione, la globalizzazione e l’immigrazione senza regole.
Il Vecchio Continente fa i conti solo oggi con il problema dell’identità e lo fa, purtroppo, in presenza di un ingombrante relativismo culturale e del mito del politicamente corretto che fa di ogni argomento scomodo per le coscienze borghesi un tabù. L’Europa, inoltre, porta su di sé l’immane tragedia del nazismo e del fascismo e il “peccato” di aver assimilato nella sua cultura massicce dosi di marxismo. Anche l’ombra lunga dei totalitarismi ha impedito finora un dibattito sereno e veritiero sull’identità dei popoli del Vecchio Continente. Questa diga non ha impedito però proprio alla Chiesa – paradossalmente - di aprire un confronto e uno studio approfondito sull’immigrazione e l’integrazione delle diverse culture in una singola nazione. È stato il patriarca di Venezia, il cardinale Angelo Scola a parlare recentemente in un’intervista di «un dato di fatto, che io ho definito “meticciato culturale”: questo processo, che purtroppo non è pacifico, è però incontrovertibile. Noi dobbiamo fare i conti con questa realtà, assecondarla, comprenderla e per quanto possibile di orientarla. Ciascuno facendo la sua parte: la Chiesa accogliendo, le autorità politiche mettendo in atto politiche intelligenti sull’immigrazione a livello europeo, la società civile agendo nella scuola, nella famiglia, nelle associazioni. Il vero terreno di confronto non è tra cristianesimo e islam, ma tra uomini che condividono la stessa esperienza elementare». È forse quello del patriarca di Venezia un discorso razzista? Non ci pare. Il tema del rapporto tra civiltà, religioni e culture ha animato la discussione nella Chiesa tra XX e XXI secolo e di quei dibattiti uno dei protagonisti è stato proprio il cardinale Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione della Fede, durante una visita nel 1999 a Menlo Park, California. Non a caso negli Stati Uniti, Paese che con la pubblicazione delle opere della Scuola di Chicago, di Leo Strauss (Natural Right and History, Diritto Naturale e Storia) e Allan Bloom (The closing of American Mind, La chiusura della mente americana) e l’attività nelle università e in politica è riuscita a creare un argine al relativismo e al disastroso fenomeno del politicamente corretto. Quella riflessione (che è diventata azione politica) cominciata un secolo fa, in America è tuttora aperta. Samuel Huntington ha pubblicato l’anno scorso Who are We (ora disponibile anche in edizione italiana: La Nuova America, Garzanti), un dettagliato studio sull’origine e l’evoluzione dell’identità americana. Secondo l’autore del citatissimo (ma poco letto in Italia) Scontro delle civiltà, il melting pot rischia di essere un sogno consolatorio di fronte alle ondate di immigrazione ispanica che stanno cambiando la geografia culturale degli Stati Uniti. Mentre sulla sponda atlantica il dibattito è serio e vivace, bisogna tristemente prendere atto che in Italia invece l’argomento è ancora materia da totem e tabù.
Ancora una volta, come si vede, il problema è di cornice ideologica, di contenuto, di onestà intellettuale, di analisi dei dati e accettazione della realtà.

Si possono avere idee differenti, si può dissentire dall’opinione espressa da Pera (che ha peccato di ingenuità anticipando un problema che l’Italia preferisce non vedere e non affrontare), ma è pura demagogia nascondersi dietro una parola per demonizzare l’avversario ed esercitarsi in un gioco di fumo e specchi che forse sarà utile per la battaglia politica, ma non rende un bel servizio al Paese.

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