Tabucchi, l’ultimo pasdaran di Santoro

Senza che se ne sentisse la mancanza, Antonio Tabucchi, 65 anni, è riapparso in tv. Michele Santoro l’ha scovato a Parigi, l’ha messo con le spalle alla Torre Eiffel (che ti trasforma in un commentatore autorevole benché non sappia dire altro che «siamo un Paese a statuto speciale») e l’ha mandato in onda ad Annozero. Ma non è più il Tabucchi di una volta, quello che scrisse a Ciampi l’accorata lettera preelettorale in difesa di Daniele Luttazzi. Il comico era andato in tv a dire «Italia di merda». Lo scrittore spiegò al capo dello Stato che «le parole del signor Luttazzi sembrano leggere e perfino eufemistiche».
Invece Tabucchi non ama gli eufemismi. Per lui Silvio Berlusconi è «il mostro di Arcore», «il miliardario amico di mafiosi e corruttore di giudici», «il sovversivo» che vuole «abbattere la Repubblica» e «utilizza la democrazia per distruggerla». Per lui il «lodo Alfano» è come l’orwelliana Fattoria degli animali dove «tutti gli animali erano uguali, ma i maiali erano più uguali degli altri»: con l’immunità per le più alte cariche dello Stato, ha scritto su Micromega, «quattro maiali sarebbero più uguali degli altri».
Per lui l’ex premier di Israele Ariel Sharon era peggio dei criminali nazisti e il giornalista di Repubblica Giuseppe D’Avanzo la reincarnazione di Beria, il capo della polizia stalinista. Gli amici lo difendono: essendo uno scrittore, un autore di fiction, vede cose che gli altri non vedono. I suoi non sono insulti, ma pennellate artistiche cariche di colore.
Qualche amico più maligno sibila che l’arte migliore di Tabucchi è quella di coltivare le amicizie giuste, quelle che gli hanno aperto le pagine di Le Monde ed El Paìs, e ogni anno fanno circolare la voce che lo scrittore è nel novero dei candidati al Nobel per la letteratura. La sua brillante carriera, che agli allori accademici unisce i proficui successi librari, è fondata su una trovata geniale. Innamorarsi di una nazione piccola e poco conosciuta, il Portogallo; prenderne l’autore più rappresentativo, Fernando Pessoa; ignorare che le sue idee sono conservatrici se non reazionarie, e trasformarlo in un simbolo progressista e politicamente corretto.
Tabucchi ha tradotto e fatto conoscere Pessoa, opera altamente meritoria. Ma ciò non gli era valsa la fama del grande pubblico. Il suo nome è sempre rimasto nella ristretta cerchia degli ambienti letterari finché non è uscito il suo libro più famoso, anche se non più bello: Sostiene Pereira. È la storia di un giornalista portoghese che, durante il regime di Salazar, trova il coraggio di pubblicare un articolo contro il dittatore prima di fuggire in Francia, abbandonando al suo destino il capo della tipografia. Era il 1993, l’anno della discesa in campo di Berlusconi, e Tabucchi-Pereira conquistò sul campo i gradi di comandante in capo dell’esercito di liberazione contro l’incombente ritorno del fascismo. Un regime subdolo e doppiamente pericoloso, perché non zittisce il contestatore.
Da allora «Panzanella rossa», come l’ha ribattezzato Renato Brunetta nel libro satirico I compagni al caviale, non ha fatto altro che ripetere questo ritornello con parole diverse. Dallo slogan «l’Italia alla deriva» alle manifestazioni girotondine, dalla feroce polemica contro Giuliano Ferrara alla difesa degli squadristi rossi di Firenze che impedirono di parlare all’ambasciatore israeliano Gol, fino alla battaglia a fianco della Cgil per l’articolo 18, Tabucchi è diventato il guru della sinistra dura e pura. Dalle prime pagine di Unità, Manifesto e Micromega ha sparato su Berlusconi, Ciampi, il centrodestra, e pure sulla sinistra morbida: per lui Veltroni «fa cadere le braccia» perché leader di una «pseudo-opposizione».
Un intellettuale del suo calibro non poteva sopportare di vivere in un Paese che non lo merita. Come ha ricordato in tv, vaga tra Francia, Inghilterra, Portogallo. La sua ultima uscita è stata un’intervista in ottobre a Le Monde in cui accusava Berlusconi di aver «abbassato il livello estetico» e imputava a Mediaset perfino che gli italiani non salutano più.

Santoro voleva da lui un affondo sulle intercettazioni, ma Tabucchi ha esibito un armamentario consunto: siamo il Paese delle stragi, delle Br, dei servizi deviati, della P2, del conflitto di interessi, degli indagati in Parlamento. Ma nemmeno sapeva che nella sua Francia vige una legge analoga al lodo Alfano. È stato lo stesso Santoro a togliergli la parola.

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