Questo giornale aveva scritto che i candidati veltroniani hanno creato un singolare paradosso: meno spazio occupavano, meglio funzionavano. E quando invece aprivano bocca, provocavano sfracelli. Sbagliavamo. Dopo la polemica esplosa ieri per le affermazioni omofobe del generale Del Vecchio, è ormai chiaro che i candidati veltroniani funzionano benissimo: per il Popolo della Libertà, però, non per il partito che li ha candidati. Sembrano la caricatura di quello che il centrodestra non è, e la sinistra è invece convinta che sia.
Dev’esserci una misteriosa spiegazione psicanalitica, una sorta di curioso contrappasso, se dopo anni di anti-berlusconismo militante, la sinistra decide di curare questo radicato pregiudizio superando il berlusconismo ma a destra. A dare il via alle danze del nuovo corso è stato Matteo Colaninno, capolista in Lombardia, che si affretta a sottolineare che lui con Prodi mai si sarebbe candidato. Poi l'esordio folgorante della «velina» del veltronismo, quella Marianna Madìa, protetta di Giovanni Minoli, paracadutata per meriti di fotogenìa da un giorno all’altro, alla testa delle liste del Pd nel Lazio. Marianna debutta dicendo (parole testuali): «Metto al servizio del Pd la mia inesperienza». Va detto che tiene fede all’impegno. Subito dopo, infatti, ci ha fatto sapere di essere una seguace ammirata delle teorie di Giulio Tremonti, scopriamo che partecipa come relatrice alle scuole politiche del centrodestra, che elogia più di ogni altra cosa la legge Biagi e la flessibilità, che dichiara a Il Foglio di voler rivedere la 194 per combattere l'aborto. Sublime. Il che vuol dire che si distingue dal centrodestra solo per alcune posizioni meno liberali di quelle di Berlusconi sul piano della tutela dei diritti individuali e civili.
Tu pensi: d’accordo, la Madìa è un caso a sé, hanno toppato una candidatura, capita. Ma solo pochi giorni dopo questa incredibile scoperta, ecco scendere in campo Calearo. L’imprenditore che inneggiava alla sciopero fiscale ed aveva nel suo telefonino la suoneria di Forza Italia. Qui il paradosso del Pd sfiora la schizofrenia: ogni volta che Berlusconi prova a dire che la priorità è rivedere l’iniquità del sistema fiscale, gli danno dell'evasore: ma se è Calearo a predicare l’ammutinamento fiscale diventa un imprenditore che esprime malessere. Ma la vetta tafazziana viene raggiunta quando il nostro esordisce a Ballarò con due singolari prese di posizione: Il «Clemente santo subito» riservato a Mastella per aver fatto cadere il governo Prodi (ovvero quello del presidente del suo partito) e l'anatema contro Visco (ovvero il ministro più intransigente del suo partito): «Speriamo che non torni al governo». Fantastico: che si sia consultato con Marianna?
E che dire dell’operaio Boccuzzi - il superstite della Thyssen - che viene oscurato dai maghi della comunicazione del Pd dopo una performance che sembrava uno spot pro Bertinotti? Per non parlare della finta precaria siciliana che doveva essere capolista ed è stata poi precipitosamente retrocessa nei gradi bassi della lista perché precaria non è, ma forse una delle poche operatrici di un call center perfettamente in regola che ha scelto e ottenuto il part time. Non è andata meglio con l’altra punta di diamante della campagna acquisti veltroniana, la presunta «operatrice della sanità»: si scopre che, invece di essere, come dicono, una impavida stakanovista, è in aspettativa sindacale da sette anni.
All’appello mancava il generale. È arrivato anche lui. E non è stato meno imbarazzante, specialmente per Veltroni che l’ha scelto. Da militare tutto d’un pezzo ha caricato i gay a testa bassa. Ma come? Veltroni ci aveva appena spiegato di aver deciso di mettere in lista una militante gay - l'ex diessina Paola Concia - e ora si scopre che la malcapitata dovrà difendersi proprio dal suo compagno di lista?
Non sappiamo se al loft hanno sbagliato il casting, o se l'idea dello «scavalcamento a destra» sia un progetto politico e culturale (oltre che demenziale).
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