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Tagli ai ricoveri? Studi medici aperti 84 ore a settimana

Medici di base al chiodo 12 ore su 12 e 7 giorni su 7. Nessun distinguo, eccezione o qualsivoglia deroga domenicale o festiva. I sanitari si dovranno adeguare al più presto all’ultima trovata della giunta Marrazzo che, a seguito dell’accordo sottoscritto con il governo nazionale in merito all’adozione del nuovo piano sanitario, ha scelto di dettare nuove regole sugli studi dei professionisti di famiglia, pediatri compresi.
È chiaro che a tutti costoro, per il surplus del carico di lavoro, verrà riconosciuta un’indennità una tantum in più rispetto ai canonici 5mila euro di stipendio. Infatti per l’iniziativa la Regione ha messo a disposizione 5 milioni e 300 mila euro circa (5.370.458 precisamente) che si dovranno spartire i 4.500 medici laziali. A ciascuno andrà poco più di un migliaio di euro. Troppo pochi, certo, se si pensa che a oggi i medici di base possono tenere aperto lo studio anche solo 15 ore a settimana (in pratica 3 ore al giorno dal lunedì al venerdì) a fronte della nuova direttiva che li va a vincolare fino a 84 ore settimanali. Tempi duri insomma per costoro. Però nelle more della disposizione regionale ci sarebbero pure delle precise motivazioni. Gli studi dei medici di base aperti ad oltranza dovrebbero «ridurre la quota di domande improprie al pronto soccorso e i conseguenti ricoveri impropri attraverso la propria reperibilità in modo da accettare, nell’arco delle dodici ore, che possono essere fissate liberamente, anche pazienti di altri medici che abbiano bisogno di assistenza e non di emergenza». A questo scopo viene data ai professionisti anche la facoltà di organizzarsi in gruppo per garantire quella che viene chiamata «capacità di risposta». E in questo contesto i medici dovranno prodigarsi anche per «garantire una risposta in strutture residenziali post acuzie». Vale a dire in tutte quelle strutture territoriali o di prossimità come i presidi ambulatoriali e gli ospedali di comunità dove, il nuovo piano sanitario regionale, prevedrebbe la presenza di medici di medicina generale per la cura di quei pazienti dimessi dall’ospedale che però non sono in grado di tornare nel proprio domicilio.
Questa sorta di «cambiamento epocale» che la giunta Marrazzo vorrebbe far digerire ai medici di famiglia, a chiedere qua e là non è assolutamente ben vista dalla categoria e uno dei motivi è che mancano ancora quelle strutture che consentono ai medici di famiglia la continuità assistenziale dei pazienti non autosufficienti. Già, perché se da un lato il carico di lavoro dei medici di base e dei pediatri dovrà aumentare, dall’altra la politica sanitaria del Lazio dovrà farsi carico dei servizi da offrire in quei complessi che il ministro Livia Turco ha chiamato «case della salute».

Ma dove sono questi complessi? O meglio, con quali risorse ne verrà finanziata la creazione? Queste risposte sembrano essere solo un dettaglio a latere perché l’importante è altro: «I medici di medicina generale dovranno garantire nelle case della salute l’ospedalizzazione a domicilio e l’umanizzazione delle cure - così è scritto nel provvedimento regionale - collaborando con infermieri, terapisti della riabilitazione, specialisti ed eventuali altri operatori». Peccato che però il progetto ambizioso sulla continuità assistenziale sia ancora fermo alle parole.

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