Tagli choc per l’Inghilterra di Cameron

Roma«Sono tempi duri e dobbiamo dare il buon esempio». Lo dice con rigorosa severità il cancelliere tedesco Angela Merkel annunciando una manovra da 80 miliardi. E le fa eco il premier britannico, David Cameron. «Il nostro deficit è peggiore di quello che pensavamo. Quello che faremo cambierà le vite di tutti noi», ha detto. Al di là delle accuse ai predecessori laburisti, il nuovo premier conservatore ha sottolineato che «non si possono spendere 70 miliardi di sterline (85 miliardi di euro) al servizio degli interessi sul debito». Il 22 giugno prossimo, quando la manovra sarà presentata dal cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, molti inglesi si rattristeranno.
Ecco, per Cameron «bisogna comprendere che finora abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità» e che serve una sterzata per contenere un deficit da 156 miliardi di sterline (189 miliardi di euro). L’Europa, quindi, deve mettersi a dieta e nessuno deve sentirsi escluso dalla necessità di fare sacrifici. Li faranno i disoccupati tedeschi che avranno meno sussidi, li faranno gli statali italiani come quelli greci. Sarà un Paese fuori dall’euro come la Gran Bretagna a uccidere definitivamente lo Stato bismarckiano che accompagnava il cittadino dalla culla alla tomba? È presto per dirlo, ma d’improvviso ogni euro speso dal settore pubblico viene messo in questione se non produce crescita o per lo meno stabilità.
Il problema è che ieri i mercati non si sono accontentati delle buone intenzioni dopo il tracollo di venerdì scorso. L’Europa in generale e l’euro in particolare hanno un problema: la tenuta dei conti pubblici. Dopo la Grecia anche l’Ungheria è sotto tiro anche se il ministro dell’Economia Matolcsy ha promesso riforme strutturali. E così, alcune piazze europee hanno registrato flessioni significative (dal -1,21% di Parigi al -1,11% di Londra). Più modesti sono stati i cali di Milano e Francoforte (-0,5% per entrambi).
La moneta unica, dopo aver aggiornato i nuovi minimi dal 2006 nei confronti del dollaro a 1,1876, è risalita a quota 1,1932. Ma la misura dello stato confusionale dei mercati è data dal pericoloso allargamento del differenziale di rendimento tra il Bund tedesco e il Btp italiano salito a 180 punti base (2,55% contro 4,35%). Una situazione che, spiegano gli esperti, «non ha riscontro nei fondamentali perché l’Italia è in una situazione migliore rispetto ad altri Paesi». Oltre ad essersi già messa in pari con una manovra biennale da 25 miliardi che proprio ieri ha incassato la promozione da parte del presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker.
Ecco, allora, ripresentarsi ancora una volta il tema che tutti nel Vecchio Continente speravano di avere esorcizzato: la speculazione. Gli operatori cercano un facile guadagno sul ribasso, sulla possibilità di fallimento degli Stati. Scelte di investimento sulle quali pesano anche valutazioni come quelle del Fmi che ha spiegato come «senza operazioni di consolidamento si potrebbe dare il via a un’ulteriore perdita di fiducia».
Le manovre «lacrime e sangue» sono quindi diventate una costante nell’Europa dei 27. A partire proprio dalla Germania, lo Stato che non si sarebbe stracciato le vesti per una Grecia fuori dall’euro, chiederà ai propri cittadini 80 miliardi di euro di sacrifici nei prossimi 4 anni. Molto di più dei circa 50 inizialmente preventivati. La stretta è molto forte: 11 miliardi di risparmi l’anno prossimo, 19 nel 2012 e 50 nel biennio 2013-2014. Non c’è settore che non venga toccato: 4 miliardi nel periodo proverranno da una tassa di 1 euro sui biglietti aerei, alle banche si chiederanno 6 miliardi di contributi come partecipazione ai costi della crisi, l’esercito sarà ridotto di 40mila unità, mentre entro il 2014 il battaglione dei dipendenti pubblici conterà 15mila effettivi in meno. Niente più Castello di Berlino (400 milioni), rivisti i contributi pensionistici (7,2 miliardi), mentre 3 miliardi verranno dai limiti ai congedi parentali. Qual è l’obiettivo? Diminuire di 0,5 punti percentuali ogni anno il rapporto deficit/pil portandolo dal 3,3% del 2009 allo 0,3% nel 2016.
La parola d’ordine ovunque è ridurre la spesa pubblica: quel mostro che produce consensi politici, ma disastra le casse degli Stati. C’è una annotazione di Cameron che non va sottovalutata. «I mercati finanziari non stanno guardando più alla solidità delle banche, ma si concentrano su come i governi tengono le finanze sotto controllo», ha rimarcato.

E sembra di sentir parlare il ministro Giulio Tremonti quando afferma che «alcuni Stati ma non l’Italia per uscire dalla crisi hanno trasformato il debito dei privati in debito pubblico». E ora gli investitori e gli operatori chiedono il conto. Resta solo un dubbio: contenere gli effetti recessivi delle manovre sulla crescita. La signora Thatcher ebbe successo, Cameron ci prova.

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