Per dirla in gergo giudiziario, un atto dovuto, logica conseguenza della decisione presa sabato scorso di abbassare di una tacca le prospettive sull’Italia. Standard&Poor’s ha annunciato ieri di aver tagliato a «negativo» l’outlook di quattro banche, pur confermandone i rating: si tratta di Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Bnl (gruppo Bnp Paribas), Findomestic. Identica sorte per la Cassa depositi e prestiti, Poste, Terna e 12 enti regionali e locali, a causa della stretta connessione con il governo italiano. L’allerta sugli istituti di credito è invece motivata con la loro connotazione italo-centrica, non compensata da una massa critica Oltreconfine in grado di ammortizzare (o ammorbidire) eventuali contraccolpi interni. In particolare, alla banca guidata da Corrado Passera viene imputata, oltre alla concentrazione nazionale del business, «una qualità degli asset in qualche modo inferiore rispetto a competitor europei simili e la forte concentrazione su un solo marchio». All’istituto di piazzetta Cuccia, si attribuisce «un profilo degli impieghi soggetto al rischio di eventi, così come un ampio portafoglio equity». Insomma, giudizio non proprio lusinghieri.
Eppure, durante il periodo del virus subprime e della recessione mondiale, questa dipendenza dal mercato domestico era stata un punto di forza riconosciuto da più di un organismo internazionale: poca o nulla la compromissione dei nostri istituti con i cosiddetti asset tossici, nessun timore di una fuga dei risparmiatori come avvenuto nel caso della britannica Northern Rock. Nelle valutazioni di S&P, il plus rischia però di tramutarsi in un minus, cioè in una vulnerabilità nel caso la pagella dell’Italia dovesse peggiorare. In quel caso, aumenterebbero automaticamente i costi di finanziamento, peraltro già soggetti a tensioni innescate dalla crisi del debito sovrano.
Qualche mese fa, la stessa agenzia di rating Usa aveva messo in guardia il sistema bancario italiano dall’erosione dei margini di interesse legata proprio ai cresciuti costi di finanziamento sul mercato istituzionale e non sufficientemente compensata dalle emissioni obbligazionarie. Un fenomeno sconosciuto prima della crisi, ma con un preoccupante effetto collaterale: anche in presenza di tassi in crescita (e la Bce ha già compiuto un primo passo in questa direzione e altri ne farà, presumibilmente, entro la fine dell’anno), i ricavi delle banche non aumentano più come in passato.
Il warning di S&P ha avuto ieri in Borsa ripercussioni tutto sommato limitate su Intesa Sanpaolo (-1%) e Mediobanca (-0,47%). «Nel momento in cui viene tagliato l’outlook di un Paese è abbastanza normale che venga rivisto anche quello del suo sistema finanziario», spiegano dalle sale operative. Poteva comunque andar peggio, trattandosi di due banche sistemiche, di cui una (Intesa) alle prese con un aumento di capitale da 5 miliardi di euro. Grazie all’operazione, Intesa si aspetta proprio di ridurre i costi di funding.
Certo è che le ultime mosse di S&P hanno avuto l’effetto di alimentare le contestazioni sull’attendibilità delle agenzie di rating. E non solo in Italia. I cinesi, per esempio, non vanno troppo per il sottile: la decisione di abbassare l’outlook sul rating dell’Italia a negativo, è «infondata», secondo Dong Xian’an, capo economista di Peking First Advisory.
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