Era la fine del 2005 quando il dibattito sulla rivolta delle banlieue ha scoperchiato lolezzo dellantica abitudine francese al conformismo intellettuale. Quella parte del ceto intellettuale che scelse di schierarsi con lallora ministro degli Interni Nicolas Sarkozy, e non con i giovani incendiari delle periferie, fu oggetto di una violenta campagna di stampa contro i «neoreazionari». Letichetta, mutuata da un saggio di Daniel Lindernberg, venne utilizzata - soprattutto dal Nouvel Observateur - per denunciare la «destrizzazione» del dibattito politico francese, capitanata da Alain Finkielkraut e da storici come Alexandre Adler, polemisti come André Glucksmann o scrittori del calibro di Michael Houellebecq.
Già nel 1993 Le Monde aveva sponsorizzato una chiamata alle armi contro la «Nouvelle Droite» di Alain de Benoist, ma stavolta la lista di proscrizione si è allargata. Nellelenco dei nuovi untori compariva anche Pierre-André Taguieff. Il politologo francese, osservati i danni che la «leggenda» mediatica dei néoréacs ha provocato alla salute del dibattito pubblico, ha pubblicato un saggio, Les contre-réactionnaires. Le progressisme entre illusion et imposture (Denoël, pagg. 621, euro 28), che per la lucidità interpretativa dei temi e dei fenomeni esaminati andrebbe attentamente ponderato anche nel contesto italiano. Lidea di partenza di Taguieff è semplice: il progressismo è divenuto la «nuova ortodossia» contemporanea, una macchina da guerra che nel nome di una visione ideologica del progresso fabbrica incessantemente nemici: chi non sta con i progressisti, e un senso della Storia inevitabilmente «sinistrogeno», è un reazionario.
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