Tan Dun, viaggio (al contrario) dalla Cina all’Italia

Una carrierona siglata da Grammy, Oscar (per le musiche del film La tigre e il dragone) e commissioni importanti, che prendeva le mosse da uno sgangherato violino con tre corde su quattro. Era l’epoca della rivoluzione culturale, «iniziai a inventare dei suoni con quanto avevo a disposizione: così è nata la mia prima musica d’avanguardia». Ora ironizza Tan Dun, compositore cinese classe 1957. Una vita, la sua, segnata da esperienze che hanno dell’incredibile. Fa il piantatore di riso, quindi viene assoldato da una troupe itinerante dell’Opera di Pechino ritrovatasi a corto di artisti, morti per annegamento. Passa all’Opera e al Conservatorio di Pechino. Trentenne vince una borsa di studio e si trasferisce a New York. Con lui lunedì la Filarmonica della Scala testa per la prima volta The Map, concerto per violoncello, video e orchestra.
Con Map debutta alla Scala. Come vive questo momento?
«Da tanto sognavo di portare questa partitura anche in Italia, che con la Cina condivide antichissime tradizioni musicali, pur diverse, penso alla maturità delle vostre orchestre e alla giovinezza delle nostre».
Tan Dun e l’Italia. Come è il rapporto?
«Marco Polo venne in Cina, reiventandola. Io mi sento il Marco Polo dell’est, compio un viaggio in senso inverso».
«Map» sta per mappa, quindi?
«La mappa per ritrovare persone morte e riportarle in vita, per recuperare musica antica e porla in connessione con quella attuale».
Come è nata l’idea di questo lavoro?
«Dovevo scrivere un pezzo legato alla mia terra, quindi tornai nella città natale. Andai alla ricerca di un anziano maestro di percussioni in pietra: sapeva ricavare l’intera gamma di note da semplici pietre. Quando seppi che era morto decisi di produrre la mappa che mi riconducesse all’artista, una mappa musicale. I sassi sono stati integrati nelle percussioni, ne abbiamo portati anche alla Scala».
Sta curando le musiche della cerimonia di apertura delle Olimpiadi. Cosa ci dobbiamo aspettare?
«Io e altri artisti cercheremo di coinvolgere i migliori musicisti cinesi e d’Occidente: Domingo, per esempio.
È esploso il fenomeno cinese: anche in musica.

Cosa sente di dire?
«Che ci sono tanti strumentisti e pure compositori di alta qualità. Credo che fra vent’anni il centro di produzione musicale si sposterà in Oriente. La sola Pechino in poco tempo s’è dotata di 32 orchestre».

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