Tangenti in Puglia: nel mirino Fitto arresti per Angelucci, vescovo indagato

Gli inquirenti: presunta tangente di 500mila euro su un appalto nella sanità. Sotto inchiesta venti persone. L’ipotesi dei Pm: denaro transitato in due conti dell’Udc

Stefano Filippi

nostro inviato a Bari

È la prima volta che un politico benedice la propria sconfitta: «Se non avessi perso le regionali ora sarei ingiustamente in carcere», dice l’ex governatore pugliese Raffaele Fitto. Battuto nel 2005 dal bertinottiano Nichi Vendola, è stato compensato con un seggio alla Camera per Forza Italia. E l’immunità parlamentare ieri gli ha evitato gli arresti domiciliari, ma non il clamore di un’inchiesta che la procura di Bari ha presentato con toni apocalittici. Centoquarantanove le pagine del provvedimento cautelare, numerose le intercettazioni telefoniche e ambientali. Indagini che coinvolgono il re della sanità privata Giampaolo Angelucci (nonché editore dei quotidiani Libero e Riformista che respinge con forza le accuse), il proprietario di una tv salentina, entrambi agli arresti domiciliari, e una ventina di persone tra cui il vescovo di Lecce, Cosmo Francesco Ruppi, accusato di corruzione sembra per finanziamenti della Regione a favore degli oratori.
Presunte tangenti per 500mila euro che sarebbero state corrisposte a Fitto tramite conti dell’Udc calabrese, residenze sanitarie pubbliche affidate agli Angelucci in cambio delle mazzette, beni sequestrati per 55 milioni, appalti a «Telerama» in cambio di trattamenti di favore: ecco il pesantissimo atto d’accusa firmato dal gip Giuseppe De Benedictis. I reati ipotizzati sono falso, concorso in corruzione, finanziamento illecito ai partiti. Il neodeputato azzurro viene dipinto come un capobastone, un politico che ha fatto «mercimonio della funzione pubblica», al quale preme «non il pubblico interesse ma l’asservimento delle strutture politiche e amministrativo-burocratiche della Regione Puglia alla realizzazione di un compenso, frutto di corruzione, per il finanziamento illecito».
La richiesta della misura cautelare firmata dai pubblici ministeri Roberto Rossi, Lorenzo Nicastro e Renato Nitti (i quali volevano non i domiciliari, ma il carcere per Pagliaro e Angelucci) è ancora più pesante. Fitto viene descritto come una sorta di boss dalla «straordinaria capacità di delinquere con modalità particolarmente subdole», dalla «riconosciuta capacità di stabilire contatti interpersonali a sfondo anche illecito, in grado di orientare ogni scelta gestionale a fini di carattere personalistico e patrimoniale», che con due «rampanti imprenditori dal notevole spessore criminale» ha ideato «il monopolio illecito di diversi settori della pubblica amministrazione, legando attraverso un patto scellerato l’impresa, la pubblica amministrazione e il potere politico».
In conferenza stampa il procuratore aggiunto di Bari Marco Dinapoli, capo del pool di investigatori sulla pubblica amministrazione (e titolare dell’inchiesta infinita sulla Missione Arcobaleno) ha spiegato che l’inchiesta partì nel 2002. Fitto avrebbe intascato i 500mila euro per un appalto settennale da 198 milioni di euro: la gestione di 11 residenze sanitarie assistite della Regione Puglia per anziani e disabili. I soldi sarebbero partiti da società riconducibili agli Angelucci, cioè il gruppo Tosinvest e il consorzio San Raffaele di Roma (nulla in comune con la fondazione San Raffaele di Milano e gli ospedali di don Verzè), in date e quantità diverse (dai 20mila ai 40mila euro). Denaro che sarebbe stato versato al movimento di Fitto «La Puglia prima di tutto» in parte direttamente, in parte tramite due conti dell’Udc aperti in filiali della stessa banca, una a Roma l’altra a Rogliano Calabro. L’ex governatore sostiene che tutti i contributi sono stati registrati, mentre per la procura si tratta di una «donazione liberale provento della corruzione che non ha rigorosamente rispettato la legge sul finanziamento pubblico ai partiti». Il Gip ha sequestrato beni per 55 milioni di euro: immobili, quote societarie, autoveicoli, conti bancari, perfino la Vespa di Fitto.
L’altro filone dell’inchiesta riguarda il deputato azzurro e Pagliaro, editore del gruppo Mixer Media: questi avrebbe ricevuto dalla Seap, la società degli aeroporti pugliesi, un appalto da seimila euro per la pubblicità allo scalo di Bari a trattativa privata e senza gara. Sponsor dell’operazione sarebbe stato l’allora governatore in cambio dell’appoggio dalle tv di Pagliaro: la «prova regina» sarebbero le repliche in campagna elettorale di un confronto con Vendola che Fitto giudicava a lui favorevole. Nell’inchiesta sono poi finite altre 20 persone tra cui il vescovo di Lecce, accusato di corruzione per i fondi destinati dalla Regione agli oratori parrocchiali.
Tutti, arrestati e indagati, hanno respinto ogni accusa. Il 27 giugno la giunta per le autorizzazioni della Camera discuterà la richiesta di arresti domiciliari per Fitto.

«Sono coinvolto in una storia che, alla luce di fatti e documenti, non può che essere definita assurda - dichiara l’ex presidente della regione in una nota -. I partiti vivono di finanziamenti, che la legge definisce leciti se, come nel caso in questione, “chiari”».

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