di Luca Josi
Di colpo il mondo, dopo l’89, sciacqua la sua storia. Siamo tutti liberal, americani, occidentali, kennedyani, obamiani.
In Italia a trovare uno storico che ti dica che la corruzione dei partiti di governo subì un’impennata a causa della Guerra Fredda, fai notte. Per i comunisti, per esempio, il problema non erano le tangenti in sé. La dottrina comunista, in nome della «morale rivoluzionaria», giustificava ben altri crimini. Figuriamoci «rubare» per il partito.
Il problema era che Craxi aveva ripudiato la morale rivoluzionaria. Aveva condannato l’Urss, era un traditore della classe operaia, quindi era corrotto nell’animo. Indipendenza e autonomia sono parole bellissime ma costano. In questa vita anche il proprio funerale costa. Se vuoi far politica, scegli che soldi prendere. E magari cominci a non prendere quelli che la storia ti consegna sporchi di sangue.
Oggi sono scomparsi gli affaristi della prima Repubblica: ci sono i lobbisti, consulenti, advisor e si è risolto tutto come in quella famiglia che angosciata dall’omosessualità del figlio lo trasforma da pederasta in gay. Ma rimane il sospetto, ad esempio per gli ex comunisti, che se si fosse sfruculiato su di loro come su di noi non si sarebbe arrivati a Botteghe Oscure ma direttamente a Marx.
Il finanziamento illecito, in politica, è drammaticamente sempre esistito ed è stato definito lecito o illecito a seconda dell’epoca e nella stessa epoca a seconda dei partiti (e chi è senza peccato s’informi. Dal proprio cassiere). La partita della storia era grossa. E i partiti servivano. Cosa c’era sul tavolo in quegli anni?
Una portaerei, con la sua flotta, vale poco meno di 34 miliardi di dollari più 20 di costi operativi annuali, 34 miliardi, più 20 all’anno, per 330 metri di acciaio affondabile. Bene: quanto vale una porterei di 1.100 km di lunghezza inaffondabile? Se ne risparmio due o tre e con quei soldi coltivo un po’ di giornalismo, opinionismo, movimentismo, concimandoli di dollari o rubli? In realtà i rubli non li voleva nessuno. Sempre di dollari si parlava anche dall’altra parte. I rubli ce li tiravano solo in testa a noi al Raphael.
Diciamo che, comunque, qualche soldino in più da queste parti per far ammutinare la portaerei Italia circolava. Facciamo ora un esempio di politica craxiana: gli euromissili. C’è la guerra, fredda. I russi producono più missili SS20 che burro. Gli americani chiedono all’Europa di reagire.
I tedeschi dicono sì, ma se lo fa qualcun altro, il qualcun altro non si trova ma ci provano gli italiani e Craxi s’intesta la battaglia. Gli americani sono tanto contenti. I russi meno. I manifestanti per la pace sono arrabbiatissimi. Pacificamente bruciano Craxi in piazza. Fine.
Poi, all’opposto dell’anatema di Berlinguer, «l’installazione di missili provocherà la corsa al riarmo», provocò la corsa al negoziato.
Con quali soldi furono sostenute quelle manifestazioni?
Con i soldi del compagno Ponamariov, capo della Sezione esteri del Comitato centrale del Pcus. Ma alla fine l’occidente vinse. Shevardnadze, ministro degli Esteri di Gorbaciov, scriverà nei suoi diari che mortale fu per loro la reazione dell’Italia.
Perché noi avremo avuto la Milano da bere ma a San Pietroburgo c’era poco da mangiare e un Paese che manda i suoi uomini nello spazio ma non salsicce sulla terra, crolla. E quello crollò. Così a Mosca si cominciò a guardare Dallas e tutti noi, a ovest, ci risparmiammo la visione di Togliattigrad.
Ora, i complotti non esistono, però le tangentopoli, dopo l’89, esplosero come una pandemia: dopo l’Italia, in Francia (Beregovoy), in Germania (Kohl), in Spagna (Gonzalez), in Grecia, in Portogallo, in Belgio. Deflagrano intere classi dirigenti grazie a una miscela fatta di polveri d’informazione e magistratura con una spruzzatina di finanza sopra.
Leader buoni per un mondo diviso tra est e ovest non lo sono per uno nuovo diviso tra nord e sud. Intanto si fanno privatizzazioni a man bassa nell’idea che se 100.000 euro donati a un partito sono un furto, miliardi di euro smarriti in svalorizzazioni sono operazioni finanziarie complesse.
Craxi era un uomo occidentale in un occidente che ama gli uomini liberi, ma non troppo, troppo, liberi. Non avrebbe mai voluto vedere i cosacchi abbeverarsi a San Pietro ma nemmeno veder sgorgare da quelle fontane Coca Cola.
E siamo dunque a Tangentopoli.
Migliaia di arresti, indagini in tutto il Paese, un numero di suicidi che supera ogni fisiologia, un Parlamento e un governo abbattuti. Non una guerra. Ma nemmeno una pace. E non c’erano molte alternative in quel periodo. O stavi dentro, nella coalizione dei Giusti, o stavi fuori. Con grandi possibilità di andare dentro. Con Craxi, in quegli anni, nella prima telefonata del mattino la domanda abituale era: cosa bolle in pentola? La risposta: noi. Un ufficio, il nostro, diventò il Covo e noi gli irriducibili.
A Craxi va riconosciuto il suo grande ruolo di riformista riformatore. Anche passivo. In effetti in un Paese in cui - per ammissione del già pm Gherardo Colombo - un processo di primo grado dura dai 4 ai 6 anni, per Craxi si celebrarono i tre gradi in quattro anni. Quindi se non ci troviamo d’accordo con chi, accantonando il righello della cronaca e preso il metro della storia, vorrebbe dedicargli una via, o una piazza, gli si potrebbe intitolare, almeno, il decreto sul processo breve. La tratta dell’Alta Velocità Giudiziaria.
Aggiungiamo il corollario del dottor D’Ambrosio allora procuratore del Pool di Mani Pulite, oggi senatore del Pd: «La molla di Bettino Craxi non era l’arricchimento personale, ma la politica.
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