Da Tangentopoli a oggi: Cicchitto smaschera l’invasione dei giudici nel campo politico

I giudici di sinistra? Non li ha inventati Berlusconi. Sono loro, le toghe, e in particolare le toghe di Magistratura democratica, ad avere nel dna un ruolo di giudice che è ben lungi dall’essere terzo, legato a doppio filo all’ideologia del vecchio Pci. E a dirlo non è il premier durante le sue ormai quasi quotidiane prese di posizione sulla giustizia, ma sono gli atti, i documenti. I documenti della svolta di Magistratura democratica dei primi anni ’70 analizzati in «L’uso politico della giustizia», un libro del presidente dei deputati Pdl Fabrizio Cicchitto scritto nel 2006 e adesso aggiornato e ripubblicato, in una nuova edizione, per gli Oscar Mondadori.
È stato scritto cinque anni fa il volume, che ripercorre gli episodi più importanti della storia repubblicana per capire come e perché si sia arrivati allo scontro frontale tra potere politico e potere giudiziario. Ma l’analisi è perfettamente attuale, quasi fosse stata fatta alla luce delle ultime evoluzioni della cronaca. L’onorevole Cicchitto fa un lungo excursus su quella che chiama l’«anomalia Italia», alias l’«uso politico della giustizia». «Era ipotizzabile – sottolinea il parlamentare nella prefazione – che l’uso politico della giustizia, manifestatosi in una prima fase nel ’92-’94 e concentrato contro i cinque tradizionali partiti di governo (la Dc, il Psi, il Psdi, il Pri, il Pli) e che in una seconda fase, dal 1994 agli anni successivi, è stato mirato contro Silvio Berlusconi, si arrestasse negli anni Duemila: così non è avvenuto, anzi esso è continuato investendo di nuovo sia quello che ormai è un bersaglio fisso (appunto Berlusconi) sia anche altri obiettivi». Un «elemento costante della lotta politica in Italia», rimarca il capogruppo del Pdl alla Camera, l’uso politico della giustizia in Italia, che ha due cause di fondo: «Da un lato il peculiare percorso della principale forza della sinistra italiana... Dall’altro l’esistenza di tendenze interne alla magistratura per la sua articolazione in correnti, talune delle quali fortemente politicizzate e ideologizzate (in primis Magistratura democratica) e altre portatrici di una forte spinta al potere corporativo della categoria. In forme diverse nel corso degli anni – chiosa Cicchitto – l’uso politico della giustizia, volto alla distruzione del “nemico”, ha fatto sì che la lotta politica sia tuttora caratterizzata da una sorta di “guerra civile fredda”».
Proprio a Magistratura democratica, e ai documenti fondativi che ai primi degli anni ’70 ne sanciscono la svolta a sinistra, Cicchitto dedica un intero capitolo, soffermandosi in modo particolare sul congresso del 1971, che approvò una mozione in cui si parla espressamente di «sinistra giudiziaria», di «accentuazione del ruolo professionale di “contropotere”, di «demistificazione dell’immagine tradizionale del giudice neutrale».

Naturalmente la parte del leone, nel volume, sono i guai giudiziari del premier, cominciati – Cicchitto lo sottolinea – giusto in concomitanza con la discesa in campo. Conclusione? Porre un freno ai processi politici, perché - la morte dei partiti tradizionali ai tempi di Tangentopoli insegna – bisogna scongiurare il rischio annientamento della politica vera.

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