Il tango di Crespo è senza casqué

Valdanito sembra Belmondo. Non male comunque. Dicevano che assomigliasse a Jorge, Jorge Valdano, il più brillantinato del mundo, oggi consulente di mercato del Real Madrid e di Florentino Perez, una volta delantero dello stesso club e della nazionale argentina. Hernan Jorge Crespo si è tagliato la zazzera da indio ma mantiene quel muso da duro, tipo Bebel per l’appunto, il francese attore che non ha mai avuto bisogno di controfigure, gli piaceva il rischio e rischiava, sul set e nella vita. Hernan Jorge è andato avanti così, sfidando le difese dovunque e comunque, giocando sempre con la stessa fame e la stessa astuzia, tipica di chi abita quel trilocale che è l’area di rigore, sfruttando spiragli, crepe, errori ed omissioni di chi gli si pari davanti, portieri, difensori, centrocampisti di recupero. Potente nello stacco aereo, micidiale nella frustata di testa, feroce nel tiro a rete, ingobbito per caricare meglio la conclusione, essenziale nel dribbling meno argentino di altri artisti eccelsi, Diego Armando e Lionel, per dire soltanto i nomi tanto i cognomi li conoscete bene.
Dice la statistica che Hernan Crespo abbia realizzato con la camiseta della nazionale argentina trentacinque gol, lo stesso numero di sua maestà Maradona, davanti a questi due soltanto Gabriel Batistuta, basta e avanza per comprendere, oltre alle cifre, anche l’importanza del calciatore. Ha viaggiato in Europa, da Parma a Roma, da Londra a Milano, da Genova a Parma ancora, ha indossato divise classiche, Milan, Inter, Chelsea, Lazio, Genoa, Parma, ha ingoiato la bile con Mourinho a Londra e a Milano, mai urlando, mai cambiando le abitudini e i vizietti da quando a diciannove anni fece il suo debutto con il River Plate, il club dei millionarios o, per derisione dei rivali, de las gallinas, le galline i polli, dopo quella sconfitta nella Libertadores contro il Peñarol che ribaltò dallo 0 a 2 al 4 a 2. Per noi italiani il River di Buenos Aires è la squadra della banda rossa, il club argentino venne in Italia per giocare alcune amichevoli dopo la tragedia di Superga nel Quarantanove. Gli incassi delle partite furono versati ai parenti dei calciatori del Grande Torino, in omaggio a quella beneficenza molte squadre italiane adottarono come seconda divisa da gioco la banda trasversale (Inter-Bologna-Atalanta).
Crespo appartiene a quella filosofia del calcio e dello sport. Rarissimi fotogrammi lo ricordano coinvolto in risse, tumulti, espulsioni plateali, gesti ineducati, sceneggiate meroliane. Studia da ingegnere agronomo, ha investito denari in beauty farm e affini, è un argentino di Florida, che sarebbe poi una zona di Baires, è un argentino senza tango e casquè. Ogni tanto, come adesso, sarebbe opportuno ricordare i suoi titoli: due campionati vinti in Argentina, uno in Inghilterra, tre in Italia, una coppa Libertadores, una coppa Uefa, cinque supercoppe, una coppa Italia, una Community shield. In Champions ha il record amaro di aver perso una finale, col Milan, pur segnando una doppietta. E poi capocannoniere in Argentina, in Italia, al torneo olimpico di Atlanta.
Penso che sia uno dei pochi attaccanti al mondo che abbia subìto un gol nella porta da lui medesimo difesa. Accadde nel Novantotto, in un quarto di finale di coppa nostrana tra Parma e Udinese, Guardalben portiere del Parma finì fuori partita, ormai i cambi erano esauriti e allora toccò a Hernan, entrato da appena dieci minuti al posto di Giunti, mettersi i guanti e provare a guardare il campo dalla parte opposta, rispetto alle abitudini. Il risultato era fermo sul 2 a 2, maledetto il recupero, tale Mauro Navas, un argentino pure lui, infilò il pallone in rete, l’unico gol della sua carriera a Udine e in Italia, finì 3 a 2, roba da scappare in Sudamerica. Per fortuna al ritorno il Parma risolse la questione 4 a 0, due gol li segnò Hernan e poi andò a vincere la finale, sempre con i gol, uno all’andata e l’altro al ritorno contro la Fiorentina.


A trentacinque anni Crespo non molla la presa, il capello è spolverato di neve ma la testa è lucidissima, gli anni non hanno appesantito i piedi. Pelè lo ha inserito tra i 125 calciatori più importanti di sempre. Detto da un brasiliano, anzi dal Re, a un argentino è come se avesse parato quel tiro di Navas nel Novantotto.

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