Tante tasse, pochi clienti E la crisi si divora il negozietto sotto casa

La recessione si è mangiata 16mila imprese artigiane negli ultimi dodici mesi. E ben 60mila piccoli negozi hanno chiuso le saracinesce negli ultimi 36 mesi lasciando a casa 120mila lavoratori. Di fronte a questi numeri viene voglia di scrivere senza il rischio di banalizzare: tempi duri per artigiani e commercianti.
La crisi economica e la poca voglia di fare lavori umili o faticosi delle nuove generazioni, ha provocato una contrazione di settori che neppure un decennio fa erano floridi, anzi, in crescita. Invece, sfido chiunque a trovare un arrotino in città. O un sarto che di nome non faccia Mohammed. Massimo rispetto per i sartini arabi, per carità. Se non ci fossero loro a far l’orlo ai pantaloni in due ore a sei euro (esentasse), single e madri di famiglia non saprebbero a che santo votarsi per risolvere le piccole seccature di cucito. Ma il sarto di qualità è un’altra cosa. Si parla di gente che ha alle spalle un’esperienza di vita. Che ha imparato a tenere un ago in mano da ragazzino, che paga le tasse. E infatti, non si trovano più. E chi ancora resiste, pensa di chiudere i battenti. Come Nicola Sardone, il calzolaio di via Lorenteggio, a Milano, mestiere onorato da più di 50 anni. «Sono arrivato a Milano dalla Puglia a sedici anni, avevo i pantaloni corti ma già sapevo cucire le scarpe a mano. Ho lavorato in questa città che amo ma ora non riesco a chiudere in attivo. Mi dispiace per i miei clienti ma vendo i muri, che sono miei, e chiudo». Perché chiudere? «Le spese sono tante e quest’anno la crisi la sentono tutti. Poi ci mancava la neve a Natale. Quello è il periodo in cui si poteva recuperare. Invece la gente non poteva neppure parcheggiare davanti al negozio. Così i clienti preferiscono andare nei grandi centri commerciali, si sbollettano per cose inutili e magari vanno in giro con le scarpe bucate». Poi c’è il doloroso capitolo delle tasse: «Non abbiamo agevolazioni, le banche non foraggiano più. E le Agenzie delle entrate fanno i conti a tavolino – spiega Nicola -. Io devo pagare le tasse sulla loro ipotesi di guadagno. Ma dovrebbero venire qui oggi, di sabato pomeriggio: ho venduto solo un paio di stringhe da scarpe marroni...».
La storia di Nicola, l’abbiamo pescata nel mucchio. A caso. E come lui ce ne sono tanti. Qualcuno ancora non trova il coraggio di troncare con la tradizione della propria bottega, altri hanno già deciso di appendere il cartello sulla saracinesca: «Chiuso per esasperazione. Troppe tasse, pochi affari, meglio la pensione. Almeno quella è sicura».
L’Unioncamere conferma il trend in discesa. Nel 2009 la crisi si è mangiata 15.914 aziende. Una contrazione dell’1,06% contro il +0,37 del 2008. Gli artigiani rimangono l’ossatura del nostro Paese, con oltre 1.478.224 aziende disseminate lungo lo Stivale, ma per la prima volta in dieci anni, il settore ha registrato il segno meno. Soprattutto in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Molise. L’unica regione con il segno più è la Valle d’Aosta. E se entriamo nel dettaglio scopriamo che tengono i settori legati alla terra. Agricoltura, caccia, silvicoltura, industrie alimentari non sono in perdita assieme, manco a dirlo, alla sanità. In crisi invece le costruzioni, con un saldo negativo di oltre 4mila imprese. Pesante anche l’andamento della macroarea trasporti, magazzinaggio e comunicazioni (-3.500 aziende) e la fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo (-2.900).
Agli artigiani si affiancano i commercianti. Negli ultimi tre anni, dice la Confesercenti, hanno abbassato la saracinesca quasi 60mila negozi, con la perdita di 120mila posti di lavoro. In pratica le iscrizioni sono state 149.890, mentre le cancellazioni hanno superato le 200mila. Se consideriamo anche gli esercizi commerciali più grandi, il saldo è negativo per oltre 100mila imprese. Aggiungendo anche il turismo, si arriva a un saldo negativo totale di 120.706 imprese. Nei tre anni, infatti, nel totale commercio e turismo le imprese nate sono state 310.38 e quelle morte 430.944. Cosa fare per invertire la tendenza? Per la Confesercenti serve una rimodulazione al ribasso degli studi di settore, servono misure a sostegno dei redditi più bassi, serve il prolungamento per tutto il 2010 della moratoria dei debiti sancita nell’accordo fra Associazioni imprenditoriali e Abi, serve valorizzare ancora di più il ruolo dei Confidi.

I presidenti di Adusbef e Federconsumatori, Elio Lannutti e Rosario Trefiletti, chiedono invece un intervento del governo per rilanciare la domanda del mercato attraverso: la detassazione dei redditi fissi da pensione e da lavoro per almeno 1200 euro annui e il blocco delle tariffe all’interno del decreto Milleproroghe, che sta per essere discusso in Parlamento.

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