La buona volontà ce l’ha messa, il signor Mario. Lui, invalido al 50 per cento e con un reddito sotto la soglia di povertà, ha cercato di trovarsi un lavoro. Per farlo, ha anche frequenatato i corsi di formazione organizzati dai Servizi sociali del Comune. Inutilmente. Per questo, tre anni fa Palazzo Marino gli aveva sospeso l’assegno di solidarietà pari a 200 euro al mese che erogava dal 2006. Ora, però, il Tar della Lombardia condanna l’amministrazione a riaprire il portafoglio. Perché secondo i giudici di via Corridoni non è stato il signor Mario a essere svogliato, quanto il Comune a non invetire abbastanza nei progetti di reinserimento per i disabili.
Si legge infatti nella sentenza depositata pochi giorni fa che «non risulta che i progetti elaborati dai servizi sociali abbiano portato all’autosifficienza economica» del signor Mario, «né risulta che il fallimento di tale obiettivo sia stato causato da un atteggiamento non collaborativo del ricorrente, il quale invece ha dimostrato di aver frequentato i corsi di formazione propostigli e di essersi messo a disposizione delle cooperative sociali alle quali era stato egnalato dai Servizi sociali del Comune». E allora cosa non ha funzionato? «L’esito non positivo del percorso di reinserimento - scrivono ancora i giudici del tribunale amministrativo - sembra invece dovuto al mancato finanziamento da parte del Comune di Milano dei progetti di reinserimento a tal fine predisposti dalle stesse cooperative sociali». Insomma, Palazzo Marino non spenderebbe abbastanza per i cittadini disabili che chiedono di essere aiutati a conquistare una maggiore autosifficienza economica.
Il regolamento comunale approvato nel febbraio del 2006 individua come destinatari dei progetti di assistenza «i soggetti che si trovano in stato di bisogno, fra i quali figurano anche coloro che, rimasti privi di adeguata assistenza del nucleo familaire, non siano in grado di provvedere autonomamente a se stessi a causa di un’invalidità comprovata». Come nel caso del signor Mario. Lo stesso regolamento prevede anche che «le prestazioni sociali possano essere occasionali, temporanee o anche continuative in relazione alla natura dell’intervento, alla diagnosi sociale e al progetto elaborato dai servizi sociali in collaborazione con i soggetti interessati». Ma «questi, in caso di percezione di provvidenze economiche, devono dimostrare il proprio impegno a seprimentare proposte di inserimento lavorativo e a trovare soluzioni per un mantenimento autonomo ppotendo, in caso contrario, il Comune sospendere i propri interventi». In altre parole, non c’è un limite di tempo massimo oltre il quale un disabile non possa ottenere una sovvenzione dal Comune, a patto che dimostri la propria buona volontà nel cercare un lavoro. Cosa che il signor Mario ha fatto.
Ora Palazzo Marino dovrà riesaminare il caso, «predisponendo un nuovo progetto di intervento finalizzato al reisnerimento lavorativo, ed erogare le necesarie provvidenze economiche nel corso della sua attuazione fino alla verifica dei risultati raggiunti». Insomma, nonostante le difficoltà di bilancio, il Comune dovrà investire di più nei servizi sociali.
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