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Tarantino lancia Inglorous basterds: "Maccheroni-kombat"

Il film nelle sale dal 2 ottobre. Il regista: "Non pensavo di allontanarmi tanto dalla verità storica". L’attore Eli Roth: "Uccidere i nazisti mi è piaciuto". Grande successo in Germania e Israele ma gli studiosi della Shoah protestano

Tarantino lancia Inglorous basterds: "Maccheroni-kombat"

Roma - Con gli scalpi dei tedeschi Brad Pitt deve averci preso gusto. Alla maniera degli Apache, scotennava crucchi nelle trincee di Vento di passioni, ma lì agiva da solo ed era la Prima guerra mondiale. In Bastardi senza gloria la pratica diventa invece strategia della paura, l’annuncio di una campagna fondata sul terrore psichico. «Saremo crudeli con i nazisti e attraverso la nostra crudeltà sapranno chi siamo», scandisce ai suoi otto soldati ebrei il tenente Aldo Raine, appunto Pitt, nell’incipit del film di Quentin Tarantino che esce il 2 ottobre in 400 copie.

Volato a Roma per il lancio europeo, il 46enne regista di Pulp Fiction appare meno adrenalinico di un tempo: magari è merito degli ottimi incassi americani, 103 milioni di dollari al 13 settembre. Del film, lungo due ore e mezzo, diviso in capitoli, si sa già molto. Tarantino ne parla come di un «maccheroni kombat», in omaggio al sottogenere bellico squisitamente italiano frequentato da cineasti di culto (per lui) come Enzo G. Castellari e Antonio Margheriti. Ma non bisogna prenderlo sul serio, al pari del suo attore Eli Roth, che manda in brodo di giuggiole il plotone di cronisti rivelando di aver imparato l’italiano «alla scuola di Bombolo»: e giù a citare Alvaro Vitali, Michela Miti, Edwige Fenech, Lando Buzzanca, Lory Del Santo e W la foca.

In realtà, Bastardi senza gloria è un film complesso, molto scritto, girato in quattro lingue, divertente nel suo mix di avventura, ferocia e cinefilia sfrenata. «Non mi considero un cineasta americano. Faccio film per il mondo intero. L’America è solo un mercato per me. Sono un’aspirapolvere, assorbo tutto», teorizza il regista. Per dire, insomma, che il suo stile è il risultato di cento influssi, inclusi i noir di Melville, i polizieschi di Fernando Di Leo, i film giapponesi sugli Yakuza. E tuttavia Bastardi senza gloria non è una sciocchezza survoltata e verbosa, alla maniera di Grindhouse. La Seconda guerra mondiale, così frequentata al cinema con alterne fortune commerciali, nelle mani di Tarantino esce dal solco iperrealistico di Salvate il soldato Ryan per trasformarsi in uno spettacolo a suo modo provocatorio. Nel quale si può addirittura riscrivere la Storia, facendo finire la guerra nel 1944, in un cinema parigino, dove schiattano in un colpo solo Hitler, Goebbels, Goering e Borman. «Sì, credo che il cinema possa cambiare le cose», si sbilancia Tarantino. «Nel mio film il potere del cinema fa crollare il Terzo Reich. E non è una metafora. È il potere della pellicola che prende fuoco sotto lo schermo, letteralmente». E se gli si chiede perché proprio il secondo conflitto mondiale, lui risponde: «Amo sperimentare. Volevo misurarmi con qualcosa a metà tra Quella sporca dozzina e Quel maledetto treno blindato. All’inizio non sapevo che sarei andato così lontano dalla verità storica. Scrivendo, i miei personaggi hanno preso invece a raccontare un’altra storia e io li ho seguiti. In fondo nessuno di loro sa come andrà a finire».

C’è chi ha avuto da ridire sulla disinvoltura - politicamente scorretta? - con cui Tarantino reinventa quell’immane tragedia. In Germania, ma anche in Israele. «Non andrò a vederlo, quando si rovescia la storia rappresentando ebrei carnefici e naziste vittime si commette un falso, sia pure con la scusa dell’ironia», ha tuonato Yehuda Bauer, storico della Shoah. E tuttavia Bastardi senza gloria sta mietendo successi sia a Berlino sia a Tel Aviv. E si può concordare con Tarantino quando replica: «Questo non è un film sull’Olocausto. Volevo raccontare la guerra come una grande storia criminale. Da un lato le SS, Hitler e i film di propaganda dell’Ufa; dall’altro un gruppo di ragazzi ebrei che applicano la “ricetta Apache” alla loro vendetta».
Gli fa eco l’attore Eli Roth, israelita: «Ebrei che uccidono i nazisti? Perché no? M’è piaciuto. Sono cresciuto, come tanti, vedendo film nei quali noi ebrei siamo sempre le vittime predestinate, il popolo che s’avvia mesto al sacrificio. Qui no, siamo noi a terrorizzare a morte i tedeschi». Certo, il discorso è delicato. Ma Tarantino si tiene sul filo di un umorismo ben temperato.

Il che - scommettiamo? - non impedirà a qualche fesso antisemita di intravedere nel mucchio selvaggio del tenente Raine il prologo di qualcosa.

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